
di David Lifodi, su PeaceLink (pubblicato il 20/12/2021)
Scampato pericolo. Al ballottaggio presidenziale di ieri, 19 dicembre, il virus del bolsonarismo, che rischiava di tracimare dal Brasile al Cile, è stato sconfitto. Josè Antonio Kast, che pure dopo il primo turno era in vantaggio, si è dovuto arrendere al trentacinquenne Gabriel Boric, più giovane di lui di venti anni.
Con uno scarto di 11 punti percentuali Boric, già definito il presidente millennial, ha riportato il centro-sinistra a La Moneda. I cileni hanno rifiutato apertamente il programma di Kast, fiero simpatizzante del pinochettismo, convinto assertore dell’urgenza di eliminare il Ministero della donna e promotore di un piano ancora più repressivo nei confronti dei mapuche, le cui bandiere hanno sventolato a lungo, sotto al palco di Boric, per festeggiarne la vittoria.

Quello che si annuncia come il primo governo “ambientalista e femminista” nella storia del Cile avrà di fronte un compito arduo. Pur sostenuto dai socialdemocratici Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, suoi predecessori alla presidenza prima di Piñera, l’ex leader delle lotte studentesche che, nel 2011, smossero il Cile dalle sue fondamenta, dovrà comunque evitare di ripercorrere le loro orme più riformiste. Di certo, in uno dei paesi più diseguali al mondo, e con un’oligarchia che di certo non perderà occasione per mettergli i bastoni tra le ruote, Boric, non potrà fare la rivoluzione in pochi mesi, ma i punti principali del suo programma, da un’assistenza sanitaria equa al lavoro per una nuova Costituzione che renda giustizia alle molteplici lotte sociali presenti in Cile, fino all’impegno per togliere lo stato d’assedio, la militarizzazione e le violente operazioni di polizia in territorio mapuche, su cui era più volte inciampata anche la stessa Bachelet, fanno ben sperare.
Al primo turno Kast aveva ottenuto il 27,9% dei consensi contro il 25,8% di Boric che, nonostante abbia promesso di cancellare una volta per tutte il neoliberismo dal Cile, è stato costretto, inevitabilmente, a moderare la sua retorica per conquistare voti al centro. Se Kast ha avuto dalla sua parte, oltre al suo partito, il Fronte cristiano sociale, i pinochettisti dell’Udi, Boric ha vinto anche grazie al voto proveniente dalla Concertación, l’alleanza tra democristiani e socialisti alla base da sempre alla base delle presidenze “rosa” o di “centro-sinistra”, giunte a La Moneda.
In più, a sostenerlo in maniera compatta è stata la sua coalizione, Apruebo Dignidad, insieme alla sinistra sociale cilena che ha apprezzato sia l’incipit del suo discorso poco dopo la chiusura delle urne, in lingua mapuche, sia la chiusura, che ha richiamato l’intervento di Salvador Allende a seguito della sua elezione del 4 settembre 1970: “Vayan a sus casas con la alegría sana de la limpia victoria alcanzada”. Boric, che entrerà in carica il prossimo 22 marzo, dovrà adoperarsi per far convivere le diverse anime della sinistra, dal Frente Amplio al Partito Comunista, ma è già percepito come l’uomo del cambiamento e non può essere diversamente. Del resto, il nome stesso della sua coalizione, Apruebo Dignidad, è significativo perché mira a far ritrovare al paese quella dignità cancellata da un’oligarchia promotrice solo di politiche escludenti per oltre la metà dei cileni.