di Giovanni Baiocchetti, Università degli Studi di Milano

All’arrivo all’aeroporto di Tallinn, i passeggeri vengono informati di essere appena atterrati laddove “la società più digitalmente avanzata al mondo coesiste con la natura incontaminata”. Al gate 3 possono accomodarsi su una delle poltrone grigie dalla forma cubica e scoprire la storia recente dei primati del piccolo paese baltico (45mila km2 per un milione e 300mila abitanti, poco più della popolazione dell’Abruzzo in un territorio grande due volte l’Emilia-Romagna) tanto su riviste cartacee quanto indossando un paio di avveniristici occhiali per la realtà virtuale. Un pannello avvisa pure che in Estonia si può avviare un’impresa in tre ore di tempo e pagare le tasse in tre minuti.

Foto di Giovanni Baiocchetti

Tra le trasformazioni che più saltano all’occhio al visitatore italiano, forse c’è proprio la politica di forte riduzione della burocrazia che ha portato all’erogazione online del 99% dei servizi pubblici, tanto da rendere obsoleta la figura professionale del commercialista. D’altronde, il 99% degli Estoni possiede pure la carta d’identità elettronica e la firma digitale. I dati dei cittadini vengono archiviati dalle pubbliche amministrazioni, e dagli enti privati con cui eventualmente si interfacciano, mediante il software X-Road, automatico e protetto. Addio pile di documenti da riempire copiando gli stessi dati: ogni volta che un medico, un funzionario comunale o una banca ha bisogno di conoscere un dato sensibile su un cittadino, gli invierà una richiesta d’accesso al dato che si può accettare o rifiutare con un click sul cellulare. Alcune autorità pubbliche possono avere accesso ai dati personali anche senza autorizzazione, come capita alle forze dell’ordine durante un’indagine: le banche dati però si possono interrogare solo in presenza di una valida motivazione giuridica; ai timori di deriva orwelliana, le autorità locali rispondono ricordando il noto caso del poliziotto finito sotto processo per aver spiato un conto corrente altrui senza motivo.

La storia del progetto di digitalizzazione del paese affonda le radici nel 1991, anno del ritorno all’indipendenza dopo quasi 50 anni nell’URSS. Trent’anni fa, meno della metà della popolazione del paese aveva una linea telefonica fissa. Ecco allora che nel 1994 il parlamento approvava un documento strategico per lo sviluppo delle Information Technologiesda cui prendeva avvio il progetto e-Estonia. Tra le tappe più rilevanti, si contano: l’online banking (1996), la dichiarazione dei redditi in formato elettronico (2000), l’identità e la firma digitali (2002), l’educazione scolastica alle nuove tecnologie (2002), il voto online (2005), il fascicolo sanitario elettronico (2008), le prescrizioni mediche online(2010). Nel 2014, poi, è arrivata la prima residenza digitale al mondo: col progetto E-residency, si può infatti fare domanda per ottenere un’identità digitale (l’accettazione è a discrezione delle autorità governative) e dar vita (virtuale) a un’impresa. La residenza digitale non è l’equivalente del diritto di cittadinanza (non permette né di votare, né di candidarsi) o della residenza fiscale (non esime il soggetto dal pagamento delle tasse nel suo paese di residenza) né di un documento che consente agli extracomunitari di viaggiare all’interno dell’Unione Europea; la convenienza sta però nell’accesso ai servizi pubblici online, che include la possibilità di firmare contratti e documenti, di aprire un conto in banca, di usufruire di alcuni vantaggi fiscali, di accedere al mercato UE, di abbattere una serie di costi (anche quelli notarili, ad esempio) e di poter fare tutte queste cose da remoto. Se poi si decide anche di andare a lavorare fisicamente nella patria di Skype, allora si può cercare spazio in uno dei tanti coworking realizzati negli ultimi anni. Dal 2015 ad oggi, sono più di 16mila le aziende nate dal programma di E-residency per 83mila cittadini digitali. Tra queste, circa 4mila sono figlie dirette della Brexit, imprese in fuga dall’aumento di burocrazia tra Regno Unito e UE e che invece dall’Estonia possono avere accesso al mercato comunitario pur continuando a lavorare fisicamente altrove, come ha raccontato qualche giorno fa il New York Times. Sta di fatto che oggi l’Estonia conta oltre 1100 startup (una cifra molto elevata rispetto al numero di abitanti) con il 6,5% dei residenti impiegati nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), presentandosi dunque come un Paese ben caratterizzato nel panorama dell’Europa Orientale.

Foto di Giovanni Baiocchetti

L’ultimo primato è arrivato con la pandemia da Covid: l’Estonia è il primo paese, seguito a ruota da altri, a offrire visti per i cosiddetti “nomadi digitali”, i lavoratori da remoto che sono considerevolmente aumentati negli ultimi due anni. Questo speciale passaporto, che in termini temporali è più di un visto turistico ma meno di un permesso di lavoro, consente di stanziarsi per un anno nella repubblica baltica; il nomade in realtà continua a svolgere il lavoro che svolgeva a casa sua, tuttavia, come affermato da una funzionaria del governo al Sole 24 Ore, l’obiettivo è quello di farlo immergere nell’ecosistema digitale locale, fargliene apprezzare i vantaggi, alimentare uno scambio di conoscenze fondamentale per un’economia 4.0. In un anno sono pervenute 132 domande, ma la stessa premier Kaja Kallas, la prima donna alla guida del paese, ritiene che siano state limitate dalle restrizioni sui viaggi. Un requisito da non tralasciare: aver percepito almeno 3.500 euro lordi mensili nei sei mesi precedenti alla richiesta.

Sta di fatto che, dopo un calo progressivo della popolazione dal 1991 al 2015, l’Estonia, grazie anche al suo nuovo capitale tecnologico, è tornata ad essere paese di immigrazione a partire dal 2016.

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