L’Ungheria è una repubblica parlamentare monocamerale con 199 deputati, di cui 106 eletti in collegi uninominali con un sistema maggioritario con singolo turno e 93 eletti con sistema proporzionale. Storicamente dal ritorno alla democrazia gli elettori ungheresi hanno privilegiato la governabilità e concentrato il voto sui grandi partiti. Dal 2010 in avanti circa la metà dei votanti converge sul partito ultraconservatore FIDESZ di Orbán e l’altra metà si frammenta tra altre forze politiche. In generale, a prescindere dalla legge elettorale, il voto degli ungheresi dal 1989 è sempre stato meno frammentato di quello di cechi, slovacchi e sloveni. Il sistema reso sempre più maggioritario, con la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione del secondo turno nei collegi maggioritari, ha spinto (quasi) tutti i partiti di opposizione, in vista delle elezioni parlamentari 2022, a formare una coalizione contro FIDESZ.

A settembre 2021

  • i socialisti di MSZP storico erede del partito unico del regime comunista e due partiti alleati;
  •  i verdi dell’LMP;
  •  i centristi della Coalizione Democratica (partito dell’ex premier Gyurcsány) e quelli di Momentum;
  •  i nazionalpopulisti spostatisi verso posizioni conservatrici di JOBBIK svolsero le elezioni primarie in due turni. 

Con un regolamento assai balzano fu stabilito che il 18 settembre 2021 le opposizioni avrebbero selezionato i 106 candidati per i collegi uninominali e avrebbero indicato i tre leader più votati che dieci giorni dopo si sarebbero conteso, al secondo turno, il ruolo di candidato premier. Già prima dell’avvio delle primarie furono denunciati per i collegi uninominali apparentamenti strani, considerata l’eterogeneità delle posizioni, tra i candidati di JOBBIK e quelli della Coalizione Democratica. Ai fini della scelta del leader delle opposizioni il primo turno vide il successo di Klára Dobrev, europarlamentare moglie dell’ex premier Ferenc Gyurcány, con circa il 35% dei voti, seguita dal sindaco di Budapest Gergely Karácsony con il 27%, ed a sorpresa, con il 20%, dal conservatore cattolico Péter Márki-Zay, padre di 7 figli, nel 2018 divenuto sindaco di Hódmezővásárhely da indipendente alla guida di una coalizione di tutte le opposizioni. Pèter Jakab, leader di JOBBIK, rimase fuori dal secondo turno. In un secondo turno a tre avrebbe prevalso Klára Dobrev, perché Karáksony e Márki-Zay avrebbero dovuto lottare per contendersi i voti dei candidati esclusi e a Dobrev sarebbe bastato il supporto del suo partito, la Coalizione Democratica. Tuttavia Dobrev è figura assai divisiva poiché moglie di Gyurcsány, che nel 2009 abbandonò la carica di premier con popolarità ai minimi storici, sotto il peso degli scandali e della crisi economica e nella prospettiva di molti attivisti delle opposizioni non avrebbe avuto alcuna speranza di battere Orbán. Così Karáksony e Márki-Zay trovarono un accordo che prevedeva il ritiro dalla contesa del sindaco di Budapest che al primo turno aveva ottenuto più voti di Márky-Zay. Pochi giorni dopo quest’ultimo vinse le primarie.

Le elezioni 2022 sono state quindi un confronto tra

  • FIDESZ ed un piccolo alleato democristiano, spesso percepito come un’appendice di FIDESZ
  • Una coalizione assai eterogenea di ambientalisti, socialisti, liberali, conservatori e perfino fascisti pentiti unita dalla contestazione dello stato clientelare di FIDESZ e da una netta scelta occidentale pro-NATO e pro-UE

I temi delle elezioni 2022 sono quindi stati

  • uno scontro tra due proposte di cambiamento: da una parte quella delle opposizioni che promettevano una rottura rispetto allo Stato clientelare e autoritario di Orbán e dall’altra quella di Orbán, che dopo 12 anni di ininterrotto governo continua a presentarsi come un outsider in Europa e come l’uomo che vuole rimediare agli errori della “transizione confusa e torbida” che ha avuto luogo tra il 1989 ed il 2010;
  • Il posizionamento internazionale dell’Ungheria, nell’Unione Europea e rispetto alla Russia.

I sondaggi che addirittura mesi fa per qualche tempo diedero l’opposizione unita in vantaggio, attribuivano negli ultimi giorni una percentuale di suffragi attorno al 50% a FIDESZ e vedevano l’opposizione unita quattro o cinque punti dietro. Le elezioni avrebbero visto, secondo gli analisti, Orbán favorito per la vittoria finale ma ben lontano dalla maggioranza dei 2/3 dei parlamentari necessaria per cambiare la costituzione (la c.d. super-maggioranza). L’esito ritenuto più probabile a poche ore dal voto era un quinto mandato di Orbán ma per la prima volta dal 2010 le elezioni sarebbero tornate competitive. Secondo gli analisti le altre liste registrate per le elezioni non avrebbero superato lo sbarramento e sarebbero rimaste fuori dal parlamento.

 I numeri del voto sono stati ben diversi:

  • FIDESZ ha ottenuto, insieme al suo piccolo alleato, oltre il 54% dei voti, la percentuale più elevata di sempre e 135 parlamentari, che bastano per avere la super-maggioranza;
  • Uniti per l’Ungheria, il cartello delle opposizioni, ha ottenuto circa il 35% e 57 seggi;
  • Patria Nostra, forza di estrema destra neocostituita nata da uno split di JOBBIK, contro la campagna vaccinale e per la pena di morte, ha ottenuto il 6% e 7 seggi

La guerra in Ucraina, che ha compattato l’Unione Europea e in generale tutto l’occidente, poteva sembrare una manna dal cielo per le opposizioni nell’Ungheria ancora segnata dai carrarmati sovietici del 1956 con Orbán sempre più amico di Putin; tuttavia l’esperto premier, che si è rifiutato di mandare armi agli ucraini e si è opposto al transito di armi in Ungheria, si è presentato come uomo di pace ed ha spesso accusato Zelensky di voler coinvolgere l’occidente in un conflitto mondiale. Non è un caso che dopo le elezioni, oltre gli autocrati di Bruxelles e Soros, Orbán abbia attaccato il presidente ucraino. Gli ungheresi forse non hanno dimenticato la sovranità limitata della guerra fredda e non sono diventati amici del Cremlino, ma in questo frangente hanno ritenuto più tutelante un uomo vicino a Putin come Orbán, piuttosto che un inesperto sindaco di provincia con dietro una coalizione potenzialmente divisa su tutto. La giovane europarlamentare Anna Donáth dal palco dell’ultima manifestazione delle opposizioni unite gridava a pochi giorni dal voto che l’Ungheria ha votato due volte per stare in Occidente (facendo riferimento al referendum sulla NATO ed a quello sulla UE), tuttavia gli ungheresi, considerato che Orbán mai ha chiesto di uscire della NATO e dall’UE, non temono che votare l’ultradestra li possa portare fuori dall’Occidente.

Certo ha pesato molto il pervasivo controllo dello Stato e dei media da parte di FIDESZ. Già alle elezioni 2018 le opposizioni, supportate dai più importanti analisti internazionali, avevano denunciato abusi di potere ed una stampa massicciamente schierata dalla parte del governo. Oggi le opposizioni affermano che i non allineati al governo fanno fatica persino a fare campagna elettorale. Inoltre Orbán, da sempre abile nell’usare la spesa pubblica a fini clientelari, per vincere nuovamente le elezioni ha allargato i cordoni della borsa potenziando il welfare e gli ungheresi hanno dimenticato il modello “piccola Cina” basato sui salari bassi e sul partito Stato che ha avuto la sua massima espressione nella legge sugli straordinari obbligatori bocciata dalla Corte Costituzionale.

Infine la coalizione delle opposizioni ha palesemente sbagliato la campagna elettorale. L’alleanza perfino con JOBBIK, che a causa di una scissione a destra non ha poi portato tutti i voti alla coalizione; gli apparentamenti anomali; gli accordi tra il secondo ed il terzo candidato al primo turno delle primarie; una proposta che voleva essere progressista ma con un frontman conservatore hanno penalizzato le opposizioni. Per vendere agli ungheresi il sogno europeo serviva un candidato giovane e comunicatore. Il conservatore rispetto ad Orbán un po’ più al centro, un po’ meno bigotto, un po’ più europeo, un po’ meno ambiguo non ha portato acqua al mulino giusto.

Le elezioni del 2022 non solo non sono state una partita aperta, ma non sono state utili nemmeno in prospettiva futura a differenza delle amministrative che avevano portato le opposizioni a eleggere il sindaco nella Hódmezővásárhely di Márky Zay, nella Budapest di Karácsony, a Pécs, Miskolc, Seghedino. 

Si noti infine che i quattro controversi referendum sull’omosessualità e l’istruzione, contestuali alle elezioni parlamentari, non hanno raggiunto il quorum. Ciò porta a ritenere che l’Ungheria non è per definizione un paese ultrareazionario. Probabilmente sbaglia chi come il parlamentare della Lega Matteo Bianchi afferma che Orbán è il risultato delle politiche europee che non danno diritto di cittadinanza alle idee conservatrici. In un momento di grande incertezza gli ungheresi hanno considerato Orbán “l’usato sicuro” e la coalizione che a lui si opponeva un’armata brancaleone che metteva insieme vecchi politici e giovani inesperti. 

Queste elezioni, che certamente hanno generato sconforto tra le fila delle opposizioni, potrebbero portare gli avversari di Orbán a considerare non contendibile il paese ed a rinunciare all’ambizione di essere vincenti, del resto la censura fatta per legge o rilevando e lasciando fallire i giornali non filogovernativi e i lavori socialmente utili usati come strumento di clientela rendono le elezioni in Ungheria non propriamente competitive; d’altra parte mettere insieme tutti coloro a cui non piace Orbán dagli ultraconservatori che hanno votato tutte le leggi anti-LGBT di Orbán agli attivisti LGBT, passando per i sostenitori dell’ex premier Gyrcsany e per ex ministri di Orbán non  ha funzionato. Le opposizioni si sono messe insieme per non essere travolte come nelle ultime tre tornate elettorali dal maggioritario ed alla fine hanno ottenuto 6 seggi in meno di quelli che avevano conquistato 4 anni fa. Lavorare ad un partito di centrosinistra nuovo, non gravato da eredità pesanti come quelle delle impopolari esperienze di governo delle coalizioni social-liberali, preparare un programma che risponda alle sofferenze economiche di larga parte della popolazione ed individuare un candidato progressista che si presenti come europeo e moderno potrebbe essere una strategia migliore.

Oggi l’Ungheria è un regime ibrido, un successo di tali proporzioni in quello che doveva essere il momento migliore delle opposizioni ci fa temere una nuova svolta che trasformi l’Ungheria in un regime autoritario come la Russia. Avremo maggiore contezza sulle prospettive dell’Ungheria nei prossimi mesi.

  

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