
A cura di Marilena Vimercati
Gennaio 2021
Il titolo non è un gioco di parole. Il riscaldamento del pianeta produce e produrrà non solo mutamenti dello stato fisico della nostra atmosfera, dei mari e delle terre emerse ma anche mutamenti sociali, economici e politici di grande rilievo.
A prescindere dalle motivazioni che hanno determinato nella storia dell’uomo significativi cambiamenti del clima, in particolare gli effetti delle eruzioni vulcaniche e della recente immissione in atmosfera di quantità eccessive di anidride carbonica, la storia del pianeta, da quando esiste l’uomo, ma non solo, è stata caratterizzata da anomalie profonde.
Il lavoro di Wolfgang Behringer, studioso tedesco, storico dell’Università del Saarland a Saarbrüken, è stato pubblicato in tedesco nel 2010 e in italiano da Bollati Boringhieri nella collana Saggi Tascabili, nel 2016, con traduzione di Corrado Bertani (352 pagine).
Specialista della storia culturale della prima Età moderna, Behringer ha condensato in questa pubblicazione una ricerca accurata e penetrante sulla reazione delle società ai mutamenti dell’ambiente.
Gli uomini sono figli dell’Era glaciale: solo quando il freddo intenso dell’ultima glaciazione cominciò a stemperarsi, oltre 10.000 anni fa, apparve la coltivazione, e con questa l’urbanizzazione e l’inizio della storia. Può apparire paradossale, ma è stato il riscaldamento del clima a crearci. Nel corso di tutta la storia umana, d’altra parte, il clima non è certo rimasto stabile e i suoi effetti sulle culture sono stati enormi. Non si può prescindere dalle condizioni climatiche nello studio delle civiltà, dei popoli, delle guerre, delle migrazioni, delle carestie, delle religioni e persino dell’arte e della letteratura. Diventa sempre più chiaro che il clima della Terra è parte integrante e motore inconsapevole dello sviluppo storico, politico e culturale dell’uomo e Wolfgang Behringer lo dimostra per la prima volta in forma estesa, con chiarezza e abbondanza di esempi.
Perché solo oggi un recensione di un opera che ha ormai più di 10 anni?
Immediatamente il giorno dopo il suo insediamento, Biden ha firmato una serie di decreti che iniziano a correggere la contestabile politica del suo predecessore (immigrazione, cambiamento climatico, ambiente, uguaglianza razziale e pandemia di coronavirus). Il decreto sui cambiamenti climatici rimette in carreggiata gli USA, sancendo il loro rientro negli accordi di Parigi.
L’opera di Behringer, seppure, come vedremo, per molti aspetti contestata, è quindi del tutto attuale, dal momento che la vera lotta al climate change deve ancora iniziare.
Anche qui non si scappa, senza una adeguata analisi storica non è possibile capire il presente e si fa molta più fatica a programmare il futuro.
La ricostruzione del passato fatta da Behirnger la si può leggere come fosse una grande saga dell’umanità, ricca di emozioni, di colpi di scena di spunti di riflessione sull’oggi.
Per stare più vicini ai tempi presenti ed al nostro continente possiamo ricordare l’espansione dell’Impero romano in un’epoca con clima “ottimale”, assai favorevole per vivere, muoversi, costruire. Si trattava della fase di riscaldamento nel periodo compreso tra iI I e il IV secolo d.C.
Questa fase fu seguita da un raffreddamento di un grado e mezzo nel periodo, decisamente meno favorevole, dell’alto Medioevo. Fu con il peggioramento del clima che l’impero romano crollò e il territorio europeo fu teatro di prima inimmaginabili flussi migratori.
La storia della terra ha dovuto fare i conti con graduali e importanti mutamenti del clima e una sua lettura senza avere in sovraimpressione lo stato fisico del pianeta è decisamente parziale.
Anche per queste epoche potremo oggi richiamare l’attuale e forse abusato temine di “resilienza”, in quanto a fronte di significative e continuative manifestazioni del cambiamento di clima le società sono state in parte in grado di reagire in base alla propria cultura e non solo grazie alle innovazioni tecniche.
Si pensi ad esempio alla rivoluzione francese, al colmo di un periodo in cui le condizioni fisiche e ambientali dell’Europa sono state interessate da cambiamenti importanti. Si era infatti in un periodo alterno di siccità, di forti precipitazioni e di grande freddo, seguito dal disgelo e da inondazioni che avevano enormemente penalizzato i raccolti, portato le malattie, le epidemie e la fame.
Sono sempre state le alterazioni del clima e la conseguente carenza di risorse alimentari a favorire la lunga sequenza di conflitti sociali, politici e religiosi tra il XIV ed il XX secolo in Europa.
In carenza di spiegazioni scientifiche che fossero alla portata di tutti, i peggioramenti del clima in corrispondenza della piccola era glaciale (metà XIV – metà XIX secolo) non hanno fatto che stimolare l’insorgere di credenze popolari che cercavano per le carestie e le malattie portate dagli eventi atmosferici capri espiatori di volta in volta differenti. Si pensi alla caccia alle streghe (un’altra opera di Behringer è stata dedicata proprio a questo tema – Le Streghe, Il Mulino, 2008) e, ancora prima, all’antisemitismo.
Con la fine degli effetti della piccola era glaciale, accompagnati da un graduale incremento della temperatura fino al 1940, si ebbe inizialmente un graduale raffreddamento, che lasciò pensare addirittura ad un fenomeno di raffreddamento globale. Ma con l’avvento di quello che oggi i geologi chiamano antropocene (1950) si sono andati sempre più rafforzando gli indizi di un graduale e sempre più repentino innalzamento della temperatura, accompagnato da un corrispondente aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell’aria.
Ed è a questo punto dell’analisi storica che si inserisce prepotentemente la necessità di trovare una chiave di lettura univoca delle cause di questo innalzamento e di tentare di prevederne l’evoluzione nei prossimi decenni.
Vada per il fatto che le eruzioni vulcaniche siano da considerare le cause più probabili dei cambiamenti del passato recente della terra (da quando esiste l’uomo, cioè 300.000 anni fa), ma la nostra società scientifica si è spaccata per molto tempo sulle cause, antropiche o naturali, del più recente e innegabile riscaldamento.
I commenti alla posizione di Behringer
La tesi sostenuta nel lavoro di Behringer, che ricordiamo data 2010, è che abbiamo grandi quantità di informazioni, ma sia la loro valutazione sia la capacità di fondere insieme svariate discipline appaiono ancora insufficienti.
Scrive Giovanni Caprara, sul Corriere della Sera del 28 agosto 2014: Sui cambiamenti climatici abbiamo molti indizi, ma le risposte spesso sono più emotive che razionali. «Gli scienziati seri dovrebbero guardarsi dal voler interpretare il ruolo di Nostradamus», nota Behringer, aggiungendo che «le simulazioni al computer non funzionano meglio delle premesse in base a cui i dati vengono forniti; descrivono delle attese, non il futuro. Il clima cambia — conclude lo storico tedesco — ed è sempre cambiato. Come vi reagiamo è una questione di cultura». Certamente una tesi non da tutti accettata, che farà discutere.
(https://www.corriere.it/cultura/14_agosto_27/clima-che-decide-storia-2ed78cfc-2e1b-11e4-833a-cb521265f757.shtml).
Da qui le pesanti critiche mosse, ad esempio, da Rüdiger Haude sul Journal of Environmental Studies and Sciences 9(1):1-12 (“Keep calm”? A critique of Wolfgang Behringer’s “A Cultural History of Climate”, August 2019).
Secondo l’autore: this book (A Cultural History of Climate) runs the climate change denier business. In doing so, it violates the standards of historical science. (…) Behringer’s political concern of delegitimizing climate science is wrapped up in a par force ride through earth and human history, for which the book has been widely acclaimed. But ideology comes to the surface on many pages. (…) The essay contextualizes the criticized work within the oeuvre of the renowned author, and it presents the remarkable reception history of the book. Behringer’s call to inaction appears to be very influential indeed, at least in German language discourses of education and of journalism. In a time in which fast, decisive action is the highest duty of the international community, and of every national government, this makes his book a dangerous phenomenon.
(https://www.researchgate.net/publication/335185717_Keep_calm_A_critique_of_Wolfgang_Behringer’s_A_Cultural_History_of_Climate)
Non la pensa allo stesso modo Marco Ferrazzoli, che, sul mensile Almanacco della Scienza, edito dall’Ufficio Stampa del CNR, sostiene quanto segue: “Molte affermazioni dell’autore rischiano di farlo frettolosamente catalogare tra i “negazionisti” o almeno tra i “riduzionisti” rispetto alla tesi del Riscaldamento globale antropico (Agw – Anthropogenic global warming), ampiamente prevalente nella comunità scientifica, secondo cui il Global Warning è dovuto ai gas serra prodotti dagli uomini”. (…) L’autore, poi, non risparmia critiche feroci agli ‘aggiustamenti’ con cui i padri della “teoria del bastone da hockey” ovvero “Michael Mann (Pennsylvania State University), Raymond S. Bradley (Università del Massachusetts) e Malcolm K. Hughes (Università dell’Arizona)” nel 1998 avevano presentato uno studio sul Riscaldamento globale negli ultimi seicento anni e fecero in modo che “il Rapporto dell’Ipcc del 1990 contenesse una rappresentazione grafica del tutto diversa della storia del clima”, cioè perché l’Agw emergesse in modo clamoroso. In ossequio a quanto del resto Stephen H. Schneider (Stanford University), un altro degli autori del Rapporto Ipcc del 2001 “e tra i primi a propagandare la tesi del Riscaldamento globale”, dichiarò con provocatoria franchezza: “Per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica dobbiamo tracciare scenari spaventosi e andare all’offensiva con prese di posizione semplificate e drammatiche”. (…) La ragione per cui nonostante tutto questo, inclusa la citazione dello scandalo noto come “Climategate”, Behringer non può essere catalogato come un ‘nemico’ dell’Agw è che la sua posizione è adamantina: “Oggi disponiamo di indizi e modelli di calcolo sufficienti a farci ritenere che sia il Riscaldamento globale, sia la sua natura antropica siano ‘molto verosimili’. Più difficile è stabilire fino a che punto la componente antropica incida”. Una posizione che si può sintetizzare in una richiesta “di cautela”. Il vero obiettivo della ‘Storia culturale del clima’ è, insomma, evitare che il dibattito climatologico finisca “tra i due fuochi opposti della politica”, assumendo “una valenza quasi religiosa” in cui il sostenitore della tesi diversa “viene bollato come agente prezzolato del fronte avverso”. (…)
(http://www.almanacco.cnr.it/reader/cw_usr_view_recensione.html?id_articolo=4957&giornale=4918)
In sintesi, la posizione di Behringer, pur discutibile in relazione alla causa del riscaldamento, che non viene in ogni caso negato, è da ritenersi severa con chi del cambiamento climatico ha tentato di fare un business esasperandone i possibili effetti a breve e medio termine. Parimenti giustificabile potrebbe però apparire, alla luce delle evidenze odierne, anche la posizione di chi ha praticato questa esasperazione, se consideriamo che la mentalità comune e, in particolare, la risposta dei governi e degli organismi internazionali è caratterizzata da un’inerzia non compatibile con i tempi di risposta che dobbiamo adottare (si veda, tanto per parlare di un aspetto molto recente, la posizione assunta dagli USA con Trump al proposito).
Ed è alla preoccupazione di Behringer circa l’ideologizzazione che è opportuno riallacciarsi.
Scrive Maurizio Stefanini su Il Foglio del 13 marzo 2019 (Non si salva il pianeta con una nuova caccia alle streghe) che: Mentre era in montagna il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che “siamo sull’orlo di una crisi climatica globale”. In Europa, tra XIV e XVIII secolo, le montagne soffrirono le conseguenze di un’altra crisi climatica globale, che sicuramente non può dirsi legata alle conseguenze dell’attività umana, come si dibatte oggi. Ma anche allora prevalse una reazione di pancia con una affannosa ricerca di colpevoli. (…) Nel ricordare la “sollecitazione sottoscritta, nell’autunno scorso, da alcuni capi di stato europei”, Mattarella, in visita alle zone del Veneto colpite a ottobre dalla tempesta “Vaia”, invita appunto a non reagire di pancia. “I mutamenti climatici in atto nel mondo comportano effetti pesanti anche sull’ambiente del nostro paese e sulle condizioni di vita della nostra popolazione”. Ma “vanno respinte decisamente tentazioni dirette a riproporre soluzioni già ampiamente sperimentate in passato con esito negativo, talvolta premessa per futuri disastri”. Come una cieca caccia alle streghe.
(https://www.ilfoglio.it/scienza/2019/03/13/news/non-si-salva-il-pianeta-con-una-nuova-caccia-alle-streghe-242946/)