
di Cristina Carpinelli (Comitato scientifico, CESPI)

Quando le milizie della Compagnia Militare Privata (CMP) Wagner giunsero a poche centinaia di chilometri da Mosca, parve reale l’ipotesi di una guerra civile alle porte del Cremlino.
Sembrava che Prigožin avesse scelto la tattica di “sperimentare” sul campo il successo della sua rivolta, man mano che sfilava da “eroe” con i carri armati per le strade delle città russe di Rostov sul Don e Voronež con l’intento di raggiungere la capitale.
Prigožin non aveva, tuttavia, calcolato che la sua marcia “ribelle” non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita, poiché il rapporto di forze tra le sue milizie e quelle dell’esercito regolare russo era di entità tale da far a pezzi la Wagner.
Qualche commentatore ha sostenuto che il capo della CMP Wagner avesse scommesso sull’ammutinamento di alti comandanti e ufficiali dell’esercito russo e sul sostegno attivo di importanti uomini dei servizi dell’intelligence.
Tuttavia, l’ipotesi più plausibile è che il capo della Wagner non volesse arrivare a una resa finale. Non voleva la “capitolazione” dell’esercito russo né, tantomeno, uno scontro frontale con il presidente Putin. Al contrario, desiderava usare la rivolta come arma di ricatto per ottenere più denaro, prestigio e potere per sé stesso, forte dei successi ottenuti in Ucraina dalle sue milizie. Fonti russe ritengono che la marcia su Mosca sia stata un tentativo maldestro di Prigožin per manifestare la sua contrarietà verso una legge secondo cui dal 1° luglio 2023 i mercenari della Wagner (inclusi altri corpi privati paramilitari russi) sarebbero stati incorporati nell’esercito regolare russo.
La decisione di riassorbire la CMP nell’esercito russo era da tempo nell’aria. Il capo della Wagner si era recato più volte al ministero della Difesa, incontrando personalmente il ministro Sergej Šojgu e minacciandolo con insulti e ricatti. Aveva esplicitamente chiesto al presidente russo che Šojgu fosse sostituito con il colonnello generale Michail Mizincev – soprannominato il «macellaio di Mariupol’» per aver condotto, per conto dell’esercito russo, l’assedio devastante della città portuale di Mariupol’ sulla costa del Mar d’Azov all’inizio del 2022. Aveva, inoltre, chiesto che Valerij Gerasimov, attuale capo dello Stato maggiore generale delle Forze armate russe, fosse sostituito con il generale Sergej Surovikin che fino al gennaio 2023 aveva ricoperto la carica di comandante in capo della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Putin aveva avvertito Prigožin che un tale comportamento non sarebbe stato tollerato.
In ogni caso, il capo della Wagner non solo non avrebbe avuto la forza militare di ribaltare il regime di Putin, ma non avrebbe avuto nemmeno il sostegno delle élite politiche russe e di quegli oligarchi e tecnocrati che pure avevano guardato con simpatia al disobbediente Prigožin. Quest’ultimo chiedeva di ripulire il sistema di potere da uomini corrotti e inetti all’interno della gerarchia militare e della verticale del potere creata pazientemente negli anni da Putin. In fin dei conti, gli oligarchi vicini a Putin e i rappresentanti di agenzie di intelligence, delle forze armate e di altre strutture statali (i c.d. uomini forti – i siloviki), insomma tutti coloro che intrattengono rapporti stretti con l’amministrazione presidenziale, sapevano che la rivolta di Prigožin avrebbe potuto rappresentare una seria minaccia anche per loro. Ed è questa la ragione per cui sono rimasti passivamente leali al presidente. Alcuni, forse, in una posizione di attendismo per capire il corso degli eventi e decidere poi su quale carro del vincitore salire. Ma cosa sarebbe successo nel caso in cui il capo della Wagner fosse riuscito a minare le fondamenta del potere? Era possibile prevedere l’avvio di una lunga serie di purghe politiche e militari, tenuto conto che tra l’élite russa fedele a Putin e i patrioti ultra-nazionalisti (di cui Prigožin è una delle massime espressioni) non corre buon sangue?
Dunque, non si è verificata alcuna spaccatura tra l’élite, l’apparato burocratico-amministrativo ha mostrato devozione a Putin, e non c’è stato alcun inizio di disintegrazione dello Stato. La teoria dell’“élite split”, termine inventato dai politologi, non si adatta al sistema di Putin. Questo sistema è stato deliberatamente creato con massicci controlli ed equilibri per evitare qualsiasi divisione nelle élite. Al minimo segno di divisione, gli “splitters” sarebbero distrutti, come abbiamo potuto constatare con la rivolta di Prigožin.
Vladimir Putin è riuscito a mantenere il controllo sulle forze militari russe, contrastando – senza spargimento di sangue – le intenzioni ribelli dell’illegale e informale CMP Wagner. Molte fortune economiche di Prigožin, capitalizzate grazie alle committenze dell’amministrazione presidenziale, sono ora sotto il controllo del presidente. Certamente, era interesse del Cremlino non arrivare all’uso della forza militare nei confronti della CMP, perché questo avrebbe comportato un bagno di sangue, aggravando la tensione tra le parti contendenti. Non era neppure interesse del Cremlino arrivare a una rottura irreversibile con i miliziani wagneriti, riconoscendo a quest’ultimi un ruolo decisivo sul fronte di guerra ucraino.
È notizia fresca che Putin abbia incontrato a Mosca, in tutta riservatezza, Prigožin e alti comandanti della CMP Wagner, che hanno rinnovato il loro attaccamento alla patria e la volontà di proseguire le operazioni militari in Ucraina. Sebbene gran parte delle milizie della Wagner assoldate per la guerra provengano dalle carceri (ai galeotti è stato promesso lo sconto della pena e uno stipendio mensile di oltre 2mila dollari durante la permanenza al fronte), tra le sue file sono anche presenti ex ufficiali dell’esercito russo e unità dell’organizzazione dell’intelligence russa (GRU). Prigožin è riuscito a reclutare nel tempo circa 50mila soldati, di cui 35mila sono pregiudicati e 15mila sono veterani dell’esercito russo (alcuni di questi – ex militari sovietici), che hanno combattuto in Libia e in Sud-Africa. Nel frattempo, in sostituzione dei mercenari di Prigožin, sono stati schierati per i combattimenti in Ucraina i battaglioni Storm Z (dove la lettera Z indica il simbolo distintivo dell’invasione russa, presente sui veicoli militari dei battaglioni e sulle uniformi). Sono unità poco addestrate, con una capacità di combattimento molto bassa, ripescati dalle prigioni russe. Il loro compito è essenzialmente quello di resistere agli attacchi della controparte, costringendo gli ucraini ad esaurire munizioni e risorse.
Da questa rivolta, il presidente russo ha dovuto imparare una lezione. Quando Putin aveva dato l’ordine di creare una CMP, aveva deliberatamente generato una zona di illegalità. Putin generalmente ama le zone grigie, ama le situazioni in cui, da qualche parte del mondo, non vi sia l’obbligo di applicare le leggi. Possiamo ricordare la Siria, l’Africa. Al presidente piace creare zone simili dove non si sente vincolato da nulla, agendo come meglio crede. Tuttavia, ciò ha un rovescio della medaglia, poiché le persone che sono cresciute con uno stile di vita privo di qualsiasi regola legale e morale (come per gran parte dei miliziani della Wagner reclutati tra ex galeotti e pregiudicati) sono portate ad agire secondo quel modello di comportamento ovunque. Nello scontro tra la CMP Wagner e il ministero della Difesa si è verificata una situazione di questo tipo: il ministero della Difesa procura risorse e mezzi per la CMP Wagner. Ma la Wagner, che non aveva un rapporto di subordine nei confronti del ministero della Difesa, ha ritenuto che fosse possibile chiedere (spesso con toni minacciosi) – basandosi sul fatto che stava svolgendo importanti missioni di combattimento in Ucraina – a questo ministero una diversa condotta per quanto riguarda le commesse di armi e munizioni e, più in generale, rispetto alla gestione dell’operazione militare speciale.
Dunque, quando crei, come in questo caso, una CMP da te programmata per operare al di fuori della legge, preparati all’eventualità che questa illegalità arrivi prima o poi anche nel cortile di casa tua. Questo è quello che è successo a Putin. Il suo errore, che non ha precedenti nella storia russa, è di aver fatto troppo affidamento sulle milizie paramilitari che operano nel teatro di guerra in Ucraina: la Wagner e i terribili “super soldati” di Kadyrov. Anche in epoca sovietica esistevano corpi paramilitari che erano, tuttavia, posti sotto lo stretto controllo del partito comunista. Durante le due guerre cecene, i combattenti russi (inclusi i volontari) facevano parte delle unità del ministero degli Affari interni, delle forze armate e dell’FSB. In questo senso, Putin ha introdotto un’innovazione che si è rivelata un vero e proprio boomerang.
Il gruppo Wagner è interamente finanziato dallo Stato russo che solo nel periodo maggio 2022 – maggio 2023 ha dovuto sborsare circa 86,3 miliardi di rubli (oltre 1 miliardo di dollari) per assegnare mezzi, equipaggiamenti militari e attrezzature da combattimento. Il governo russo ha anche destinato una somma aggiuntiva di 110 miliardi di rubli (quasi 1,3 miliardi di dollari) per le indennità assicurative dei combattenti. I legami d’affare del capo della Wagner con il Cremlino sono diventati sempre più stretti da quando la Concord Company Group, la società di catering per la fornitura di generi alimentari (proprietario – Prigožin) ha vinto vari appalti per l’erogazione di servizi di mensa statale a favore dell’esercito regolare russo. La Concord catering, da maggio 2022 a maggio 2023, ha incassato dallo Stato circa 80 miliardi di rubli (937,6 milioni di dollari).
Queste cifre da capogiro possono essere un convincente indizio che Prigožin stava accumulando denaro e influenza per preparare l’inizio della sua carriera politica? Che la sua battaglia nei confronti di alcuni vertici militari fosse appunto un primo passo verso l’ascesa al potere?
Prigožin è sempre stato considerato un fedele di Putin, molto attratto dal denaro, dai bonus, dai premi elargiti dall’amministrazione presidenziale. Sostanzialmente un personaggio privo di ideologia. Con la rivolta, si è scoperto che aveva, a quanto pare, una sorta di ambizione politica. Molte sono le risorse di cui dispone il capo della Wagner, accumulate ancora prima dell’offensiva in Ucraina. La Wagner non è solo un gruppo paramilitare attivo nei Paesi africani e in Siria. Questa CMP svolge pure un ruolo dinamico con lo scopo di influenzare l’assetto politico di quei paesi autoritari, ma sottosviluppati, attraverso l’uso dei social network e della propaganda. La presenza della Wagner in America Latina ha proprio questa funzione. Note sono le “fabbriche dei troll” (la Patriot Media Group, il cui padrone è Prigožin, rappresenta la loro evoluzione), considerate responsabili di interferenze nella campagna elettorale americana del 2016 e in quella di altri paesi nel mirino di Mosca.
L’impero economico di Prigožin, oltre agli incassi statali per operazioni belliche compiute in Libia, Siria, Mali e Ucraina, include società finanziarie, di costruzioni, forniture e logistica, aziende minerarie con operazioni di estrazione e sfruttamento delle materie prime (depositi di oro e diamanti) da cave e miniere in Africa. Molti degli accordi stipulati dalle società legate alla Wagner con i governi africani sono informali, basati sul contrabbando e su trasferimenti illeciti e sono personalmente negoziati dallo stesso capo della Wagner. Tuttavia, nonostante, la falla prodotta da Prigožin con la sua marcia su Mosca, il gruppo Wagner proseguirà ad operare in Africa come già avviene da circa un decennio. Così ha sostenuto il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, facendo intendere che gli interessi della CMP e di Mosca, in quel continente, continueranno a collimare a livello militare e affaristico. Per la Russia si tratta anche di rafforzare il suo peso geopolitico. E per questa ragione, le autorità statunitensi hanno da tempo imposto sanzioni alle controparti africane della Wagner per bloccare gli ingenti e assai redditizi traffici della Compagnia privata.
Pertanto, è possibile che Prigožin abbia combattuto non solo per i soldi, ma anche per qualcosa d’altro. Un personaggio che dispone di un corpo armato ha, secondo un’indagine condotta dal Centro Levada (Istituto russo sondaggista indipendente con sede a Mosca), un potere così rilevante da essere considerato alla stregua di un importante leader politico.
È assolutamente verosimile che l’influenza politica e pubblica di cui gode Prigožin lo abbia “eccitato”, al punto di considerarsi qualcosa di più che un ex galeotto. Putin ha sempre creduto che, essendo lo Stato il “datore di lavoro” della Wagner, quest’ultima avrebbe dovuto contraccambiare, mostrando lealtà e obbedienza al Cremlino. Francamente, Prigožin la pensava diversamente. Questo è evidente dalle sue dichiarazioni e appelli in questi ultimi mesi di guerra quando, più da uomo politico che da leader di un corpo paramilitare privato, criticava aspramente e pubblicamente la corruzione presente in alcuni gangli del potere militare e politico, sfidando apertamente Mosca. Prigožin pensava di aver reso alla patria un servizio inestimabile, assediando Bakhmut (città dell’Ucraina orientale sita nell’oblast’ di Donetsk e capoluogo dell’omonimo distretto) con le sue truppe d’assalto.
Si era, tuttavia, illuso che con il suo impero mediatico e le sue “fabbriche di troll” potesse in qualche modo influenzare le decisioni al vertice dell’apparato burocratico-militare russo. Credeva di poter usare arbitrariamente i suoi media per criticare l’esercito russo, per aprire spaccature nel consenso attorno ai vertici militari, contravvenendo all’articolo 7 della legge “Sullo status dei militari”, che contiene divieti espliciti all’uso dei media per screditare l’esercito, le sue unità e i suoi comandanti. Lo stesso articolo proibisce al personale del ministero della Difesa di diffamare pubblicamente l’operato di Prigožin. Quest’ultimo non solo ha violato il codice di condotta del personale militare, ma si è anche servito delle sue reclute per propositi politici.
Prigožin non aveva, inoltre, considerato la sua inesperienza riguardo ai meccanismi interni di funzionamento della macchina burocratica militare russa, non lavorando dentro tale apparato e avendo, di conseguenza, difficoltà a “procacciarsi” alleati importanti. La sua irresistibile ascesa di popolarità nello spazio di rete dei troll gli ha fatto girare la testa al punto di convincersi che tutto ciò si sarebbe automaticamente convertito in un’influenza politica diretta. Ma non è così che funziona. E Putin glielo ha fatto capire.
Sono convinta che il presidente russo, per quanto abbia scelto la via indolore per troncare la rivolta Wagner, esauritasi in 24 ore, non lascerà impunito il traditore Prigožin. Sta nel suo carattere, nel suo modo di essere. Putin è noto per la sua frase: “i traditori non sono perdonati”. Il procedimento penale con l’accusa di ribellione armata a carico del leader della Wagner è stato archiviato, ma il presidente ha altre armi per punire il traditore: ad esempio, privarlo delle sue fortune economiche (come sta già facendo), mandarlo in esilio, applicare nei suoi confronti il metodo “Naval’nyj” (cognome del dissidente “anti-sistema” più volte incarcerato e avvelenato con l’agente nervino Novičok), o semplicemente fare in modo che scompaia per sempre dalla scena pubblica. Soluzione quest’ultima come la più probabile, tenuto conto che Prigožin non gode di ottima salute. Risolvendo, dunque, ancora una volta, l’affaire Prigožin senza atti cruenti, esattamente come fece in passato nei confronti di un altro “eroe nazionale” che aveva combattuto nel 2014 a fianco dei separatisti filorussi nell’Ucraina orientale, ricoprendo il ruolo di Comandante delle Forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk, e veterano di molti altri conflitti precedenti (Transnistria, Bosnia, Cecenia, Daghestan): l’ex colonnello dell’FSB Igor’ Girkin (conosciuto anche con il nome di Igor’ Strelkov).
Per quanto riguarda i miliziani ordinari della Wagner sarà data loro la possibilità di scegliere se entrare a far parte dell’esercito regolare russo, se tornare a casa (terminando di scontare la pena in una qualche galera, nel caso in cui il periodo stabilito di detenzione non sia nel frattempo giunto a termine), se riparare in Bielorussia, entrando nelle file dell’esercito regolare bielorusso o rendendosi disponibili ad addestrare i soldati bielorussi, oppure continuare ad operare in missioni di combattimento sul fronte ucraino (il nuovo accampamento militare del gruppo Wagner potrebbe essere dislocato nei pressi di una base militare in disuso a circa 20 chilometri dalla città di Osipoviči, un centinaio di chilometri dalla capitale Minsk). Ad ogni modo, la CMP Wagner, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi, cesserà di esistere. Sicuramente, cesserà di esistere in senso giuridico, perché ora in Russia esiste una legge che regolamenta le compagnie militari private. E ci sarà un ricambio totale dei suoi vertici militari. Si vocifera che Prigožin possa essere sostituito da Andrej Trošev, nome di battaglia Sedoj, che significa “testa grigia”. Andrej Trošev era stato direttamente coinvolto nelle operazioni militari del gruppo Wagner in Siria e aveva contribuito in modo cruciale allo sforzo bellico del presidente siriano Bashar al-Assad, sostenendo quindi il suo regime.
Diversi analisti politici, in questi giorni, si sono domandati se Putin esca indebolito dalla “protesta” fallita di Prigožin. Personalmente, credo solo limitatamente. Certamente, la “protesta” ha rappresentato una scheggia impazzita del sistema che è stata prontamente rimossa. Putin ha equiparato, a mio parere impropriamente, la rivolta di Prigožin alla rivoluzione dell’Ottobre 1917 e alla conseguente guerra civile. Non è la prima volta che il presidente russo, come nella migliore tradizione russa, usi la memoria storica per accostare periodi sciagurati della storia russa che hanno danneggiato seriamente il paese. Da qui il suo richiamo anche al periodo dei torbidi (spesso ripreso in relazione alla transizione russa dell’amministrazione presidenziale di El’cin), e a tutto ciò che deve essere assolutamente evitato per garantire la sicurezza e la stabilità del paese, brandite quest’ultime dal presidente come un mantra. Può darsi che Putin esca prima del previsto dalla scena politica (per motivi di salute o per qualche altra ragione), ma non morirà il putinismo (la linea e la strategia politica del presidente della Federazione Russa, che ha plasmato per oltre vent’anni l’ossatura del potere in Russia), anche se ci saranno cambiamenti, com’è naturale che sia, ai vertici della piramide. Un solo fatto potrebbe far cadere Putin e con lui il suo castello di potere: “la Russia perde la guerra in Ucraina”. Ma non è scontato che una volta spodestato Putin (e il putinismo), colui che prenderà eventualmente il suo posto sia meglio. In Russia, non esiste uno stato di diritto da diversi anni. Lo spazio per la democrazia è stato ridotto quasi a zero. E quando la posta politica in gioco è così alta – in un possibile scenario di lotte intestine nel caso in cui la Russia uscisse perdente dalla guerra – è molto facile che il paese si orienti verso una dittatura totalitaria, come ha affermato Thomas Graham al servizio russo di Voice of America.
Fior di analisti s’interrogano ancora a distanza di tempo perché sia avvenuta e soprattutto perché sia stata fermata in un lampo la marcia su Mosca. Uno dei motivi per cui Putin ha deciso di farla finita così in fretta, anche a costo di perdere la faccia, concedendo l’amnistia a persone che lo avevano minacciato di arrivare sino a Mosca, potrebbe essere stato il rischio di una destabilizzazione del mercato mondiale del petrolio e del gas. Rischio reale se lo scontro tra la CMP Wagner e il Cremlino fosse durato più a lungo. Qualsiasi processo caotico può avere influenza sui prezzi del petrolio e del gas. Novorossijsk è il più grande terminal di esportazione del greggio russo “Urals”. La sua pipeline attraversa l’oblast’ di Rostov, dove si trova una delle due città “prese” dalla Wagner (Rostov sul Don, centro amministrativo dell’omonima regione), polo logistico e militare della Russia meridionale, cruciale per i collegamenti con la vicina Ucraina e con la Crimea.
Altri si sono chiesti in quale misura la rivolta potesse rappresentare il sintomo di un sistema di potere affatto compatto che cominciava a presentare al suo interno delle incrinature. Diverse sono le dimensioni di cui tenere conto al proposito. Una dimensione, di cui ho già parlato, è che lo stesso Putin ha aperto il vaso di Pandora, ha cioè deliberatamente aperto a zone d’illegalità, pensando che fosse più conveniente operare quando non si è vincolati da alcun quadro giuridico e morale. Un’altra dimensione, messa in luce dallo stesso Prigožin, è l’incapacità mostrata dai vertici militari della difesa russa di far fronte ad alcuni compiti militari in Ucraina come, ad esempio, la fornitura regolare di proiettili d’artiglieria, di armi e di equipaggiamento. Causa di ciò – come ha detto recentemente il ministro delle Finanze della Federazione Russa, Anton Siluanov, al Forum economico di San Pietroburgo – sono le sanzioni occidentali. Si sa che la Russia riesce ad aggirare le sanzioni, attraverso paesi terzi, ma ciò non significa che queste non abbiano in qualche misura un impatto sul paese, nonostante le riserve accumulate negli anni precedenti, ma che ora stanno rapidamente esaurendosi, e nonostante il fatto che alcuni indicatori economici (es: forchetta di crescita del PIL che oscilla dallo 0,5% al 2% nel 2023 – come ha riferito Ėl’vira Nabiullina, governatrice della Banca centrale della Federazione Russa; tasso di disoccupazione al minimo storico: 3,2%) delineano per il momento una tenuta del paese. Tuttavia, con il passare del tempo l’effetto della guerra sull’economia si farà sentire e la resilienza della Russia rispetto alle sanzioni occidentali, fronteggiate ad oggi con un forte apprezzamento delle commodities energetiche, il re-indirizzamento dell’export verso l’Asia e la mano ferma della Banca centrale rispetto alle fughe di capitali, potrebbe ridursi. È, tra l’altro, in corso un dibattito interno tra alti rappresentanti della finanza ed economia russa (inclusi la governatrice della Banca centrale e il premier Michail Mišustin, per molti anni a capo del Fisco, e incaricato di rilanciare la malandata economia russa) riguardo allo spostamento dell’asse d’interessi della Russia verso la Cina – con il rischio che diventi un vassallo del “drago cinese”, essendo i rapporti economici tra Mosca e Pechino decisamente sbilanciati a favore di quest’ultima – , e sull’eventualità, al termine della guerra in Ucraina, di riattivare – se mai ci fossero le condizioni – legami d’affari con l’Occidente.
Una possibile crisi di bilancio potrebbe dunque influenzare la capacità della Russia di condurre ostilità attive in paesi considerati ostili. Per il 2023 sono stati investiti più di tre trilioni di spese militari. Ma non sono sufficienti. Sempre al Forum economico di San Pietroburgo, il ministro Siluanov, rispondendo principalmente ai quadri dirigenti del settore militare, ha sostenuto che non ci sono le condizioni per mettere in conto un incremento di spesa. In caso di necessità, bisognerà prevedere l’aumento delle tasse, ma questo provvedimento, insieme alla crescita dei tassi d’interesse annunciato dalla Banca centrale, nuocerebbe all’intera ripresa economica.
C’è poi la dimensione psicologica: la minaccia di una controffensiva ucraina che possa modificare le sorti della guerra in corso ha un impatto forte sulla popolazione e sui soldati russi. Uno dei principali vantaggi dell’Ucraina è il morale con cui il suo esercito sta combattendo per liberare il paese dall’aggressore. Il clima morale nelle forze armate di Putin e tra i paramilitari è, al contrario, piuttosto basso.
La ribellione di Prigožin è stata uno shock per la società russa? È fuor di dubbio che una sorta di ansia si sia manifestata tra le persone. Quando vedi sfilare nella tua città i blindati della milizia Wagner, senza nessuna reazione da parte della polizia locale, o di altri organismi preposti alla sicurezza, è ovvio che sopraggiunga qualche preoccupazione. La stampa straniera ha documentato delle centinaia di persone uscite di casa per salutare i miliziani della Wagner entrati a Rostov e Voronež. Ma poco è stato detto (se non nulla) riguardo alle file di persone davanti ai distributori di benzina pronte a lasciare le due città.
Durante le guerre cecene, non ci furono combattenti ceceni che furono in grado di “catturare” una grande città. Era stata fatta irruzione nell’ospedale di Budënnovsk, nella scuola di Beslan, c’erano stati spari a Nal’čik nel corso di una notte, ma la mattina dopo i combattenti ceceni avevano lasciato la cittadina russa.
Rostov è, invece, l’undicesima città più grande della Russia, Voronež – la quattordicesima, e le milizie della Wagner sono riuscite a prenderne il controllo. Le due città (insieme a Belgorod) sono importanti perché rappresentano la traiettoria logistica di transito di tutto l’armamentario bellico russo verso l’Ucraina.
Tutte le forze di sicurezza erano fuggite, solo il vice ministro della Difesa russo Junus-bek Bamatgireevič Evkurov e il numero due dello Stato maggiore Vladimir Alekseev, che si trovavano nel quartiere generale del distretto militare di Rostov, avevano incontrato Prigožin. Durante il colloquio a tre, Prigožin non aveva risparmiato i vertici militari russi macchiandoli con accuse e dure calunnie. Questo ha evidentemente scosso i russi, ma non al punto di poter immaginare un sovvertimento del regime di Putin. Il discorso del 24 giugno 2023 del presidente alla nazione (cui è seguito subito dopo un altro appello di Putin), poche ore dopo la conquista di Rostov da parte delle milizie Wagner, e la tempestività con cui la rivolta di Prigožin è stata sedata (grazie al ruolo di mediazione svolto dal presidente della Bielorussia, Lukašenko), hanno rassicurato i russi sul fatto che Putin avesse sotto controllo la situazione. Ricordo che in quei giorni anche il patriarca Kirill aveva chiesto ai suoi sottoposti di diffondere un appello per l’unità del paese contro coloro che stavano agendo apertamente o sottomano per rovesciare il regime.
Da un’indagine condotta tra il 25-28 giugno 2023 dal Centro Levada emerge che la maggioranza dei russi ha criticato l’azione illegale della CMP Wagner (anche se ritiene che le critiche di Prigožin ai vertici dell’esercito russo non siano del tutto infondate). In particolare, crede che la rivolta abbia avuto come principale movente l’ambizione personale del capo della Wagner. Allo stesso tempo, pare che il rating nei confronti del presidente russo non sia stato scalfito dalla marcia su Mosca: l’82% dei russi si fida ancora di Putin. Il sondaggio riferisce altresì che alcuni governatori e uomini politici russi pensano, al contrario, che l’indice di gradimento nei confronti del presidente sia calato di 9-14 punti. Un dato è certo per i russi: il colpo di mano di Prigožin non ha per il momento influenzato il corso delle ostilità in Ucraina.
Si è anche discusso in questi giorni se Putin manterrà i suoi vecchi quadri, dimostrando di non cedere alle pressioni esercitate dal “comandante in capo” della Wagner. Sono sicura che Putin apprezzi molto, per la devozione e lealtà mostrate nei confronti delle istituzioni e del presidente, il ministro della Difesa, Sergej Šojgu e il capo dello Stato maggiore generale delle Forze armate russe, Valerij Gerasimov. Perché mai il presidente russo dovrebbe sostituirli? Perché mai dovrebbe piegarsi alle richieste del traditore Prigožin? Putin potrebbe però procedere a rimpasti nel ministero della Difesa e nello Stato maggiore generale delle Forze armate russe e, alla peggio, iniziare insieme all’arci-putinista Dmitrij Patrušev (ministro dell’Agricoltura della Federazione Russa, candidato preferito da Putin per una sua eventuale successione) e all’FSB, una “caccia alle streghe” – esattamente come avvenne dopo l’assassinio di Sergej Kirov, quando si ebbe un’epurazione nei ranghi del partito. Alcune teste potrebbero rotolare. Tre sono già rotolate, quella del generale Sergej Surovikin, uomo di grande esperienza militare e noto per i suoi stretti legami con il capo della Wagner, sospettato di essere a conoscenza del piano di ribellione e quella del colonnello generale Michail Mizincev. Entrambi i generali sono scomparsi dalla scena pubblica. Surovikin è detenuto e interrogato a Mosca, pur non essendo stato accusato di un crimine. Infine, quella del generale Ivan Popov, comandante della 58ma armata combinata dell’esercito russo, impegnata in Ucraina sul fronte di Zaporižžja, sollevato senza preavviso dal suo ruolo di comando per aver contestato ai superiori la gestione della guerra in Ucraina e la mancanza di supporto materiale sufficiente alle sue truppe. Il suo licenziamento ha provocato malcontento fra i comandanti dell’esercito russo, alcuni dei quali si sarebbero apertamente schierati a difesa del generale Ivan Popov (epurato da Gerasimov), creando un certo scompiglio all’interno delle forze armate russe.
Il servizio di sicurezza interna della Russia ha proceduto ad arrestare anche diversi ufficiali militari di alto rango. Alcuni sono stati successivamente rilasciati, altri sospesi dal servizio o licenziati.
Nel frattempo, Putin ha provveduto a fornire di armi pesanti (compresi i carri armati) la sua ex guardia del corpo, Viktor Zolotov, ora direttore della Guardia nazionale della Federazione Russa (Rosgvardija) – un corpo militare governativo russo composto da circa 340mila uomini suddivisi in 84 unità dislocate su tutto il territorio della Federazione – nonché membro del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa.
Una domanda che in questi giorni molti si sono posti: ma è possibile che l’FSB non fosse a conoscenza dei piani di Prigožin? Probabilmente, la leadership russa era al corrente, ma contava sul fatto che le milizie ordinarie della Wagner non seguissero in quest’avventura il loro “comandante in capo”. Alcuni numeri: Prigožin disponeva di un contingente di 20mila unità in Ucraina (precisamente nei campi militari della Repubblica popolare di Luhans’k). Meno di 10mila soldati (alcuni dicono 8mila) sono andati in marcia verso Rostov sul Don, senza sapere esattamente per quale motivo. Pare che Prigožin non li avesse informati delle sue reali intenzioni, temendo delle defezioni. Solo dopo che ai miliziani wagneriti era stato intimato di abbattere un elicottero dell’esercito russo e un aereo da trasporto e combattimento, questi avevano compreso di essere stati coinvolti in un tentativo di “colpo di stato”. Dopo il discorso del presidente russo alla nazione, che condannava queste azioni come alto tradimento, è iniziato un silenzioso sabotaggio. La colonna di soldati della Wagner diretta a Voronež si era ridotta a circa 2mila unità per fermarsi definitivamente nel villaggio di Krasnoe nella regione di Lipeck, a 390 km. da Mosca. Alcuni soldati si erano successivamente incamminati verso Belgorod, altri si erano dispersi nei campi. A quel punto, Prigožin prendeva atto che la sua “marcia per la giustizia” era fallita. Lukašenko gli offriva una via d’uscita. Personalmente, credo, su “delega” del presidente russo.
Una riflessione conclusiva. Si presenterà Vladimir Putin alle prossime elezioni presidenziali del 2024, alla luce degli ultimi fatti occorsi in Russia? È un po’ presto per rispondere. Ci sono ancora molti mesi davanti. Penso che se non ci saranno eventi sfavorevoli in grado di mettere a dura prova la stabilità del regime, Putin si ricandiderà. Il presidente è per il momento il migliore antidoto alle tachicardie del sistema, rappresenta l’unico punto di equilibrio e ricomposizione delle spinte centrifughe dentro la complessa macchina del potere. Ha le competenze per aggiustare il sistema da eventuali crepe. Negli anni Duemila, ha rimesso in piedi un paese completamente distrutto dalle politiche scellerate dell’amministrazione presidenziale di El’cin. Gli unici fattori che potrebbero remare contro la sua eventuale ricandidatura sono l’età anagrafica e le sue condizioni di salute. In tal caso, sarebbe comunque Putin a scegliere il suo successore.
(Didascalia immagine: La fotografia ritrae il ritorno della Wagner CMP a Rostov sul Don, dove viene accolta dal giubilo della folla. Immagine Creative Commons; Autore: Fargoh, Wikimedia Commons)