Turchia: perché Erdoğan rischia le sue “elezioni più importanti”

Elezioni Turchia

L’immagine è tratta da LIMES “Erdoğan ha paura di perdere il voto del 2023, quindi cambia i confini elettorali” 

di Massimo D’Angelo, Visiting Research, Loughborough University London, Koç Universitesi

Domenica 14 maggio 2023 la Turchia si recherà alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Si tratta delle terze elezioni dirette da quando – nel 2014 – è stata introdotta l’elezione del capo dello stato con elezione popolare. Dopo una brevissima fase semi-presidenziale, nel 2018 il paese ha introdotto alcune riforme costituzionali che hanno eliminato la figura del Primo Ministro e trasformato il sistema istituzionale del paese in un regime presidenziale.

In un suo recente numero, il settimanale britannico The Economist, ha definito queste “le elezioni più importanti dell’anno” i cui riflessi si ripercuoteranno su tutto il mondo (The Economist, 2023).

Il regime di Erdoğan

Il regime politico turco ha attirato da sempre l’attenzione di analisti, dei media e degli attivisti politici. Infatti, nei suoi primi anni di governo, il partito di Erdoğan AKP – Adalet ve Kalkınma – in turco, che significa Giustizia e Sviluppo. sembrava voler coniugare l’Islam con i principi liberal democratici. Tuttavia, col tempo esso ha introdotto misure sempre più repressive, limitando di fatto lo spazio politico di opposizione al governo. Gli analisti hanno offerto le definizioni più disparate per descrivere il regime politico del paese.

C’è chi ha parlato di democrazia illiberale, democratura, autoritarismo neoliberale, stato neo-patrimoniale, o clientelare.

La definizione che ritengo più vicina alla situazione attuale è quella di autoritarismo competitivo. Gli autori che hanno studiato questo particolare modello politico lo hanno descritto come una struttura formalmente democratica, in cui le istituzioni democratiche esistono e possono essere scalate dai partiti politici che competono tra loro. Il problema degli autoritarismi competitivi sta nel fatto che chi esercita il potere politico lo fa abusandone, ed eccedendo le prerogative costituzionali. Tuttavia, i soprusi sono sempre ambigui, mai netti e chiari. Questo innanzitutto perché esiste una società civile, una opinione pubblica attenta e sensibile a questi temi, che non esita a scendere in piazza, come il passato recente dimostra.

Il regime appare democratico, nel senso che i partiti d’opposizione possono servirsi delle istituzioni democratiche per sfidare il potere politico, ma non può dirsi pienamente democratico, dal momento in cui le regole del gioco sono seriamente sbilanciate in favore di chi è in carica al momento. Nei regimi autoritari competitivi il governo utilizza per lo più strumenti informali di repressione. La repressione può essere formale, nel senso che può derivare dall’applicazione di leggi liberticide, ma più spesso si tratta di una repressione informale, velata, che minaccia chiunque sia all’opposizione.

In questo tipo di regime rimane tuttavia una struttura democratica di base. C’è, ad esempio, un’arena elettorale all’interno della quale si svolgono elezioni più o meno libere e ciò che ha effettivamente reso possibile la vittoria dei partiti d’opposizione nei comuni di Istanbul e Ankara nel 2019; esiste un parlamento regolarmente eletto, esiste un potere giudiziario, più o meno influenzato dal potere politico, e infine c’è una stampa che, nonostante le pressioni da parte del governo in carica, è formalmente indipendente. Le elezioni sono generalmente libere e i governi in carica non sono del tutto in grado di manipolarne i risultati. Tuttavia, gli abusi del governo sono possibili (Esen & Gümüşçü, 2016). Per tutte queste ragioni le elezioni di domenica assumono un’importanza del tutto particolare. 

Il paese tra terremoto e crisi economica

Quando l’Unione europea viveva la sua profondissima crisi dei debiti sovrani, la Turchia registrava dei sorprendenti tassi di crescita. Nel 2011, il PIL turco cresceva del 11.2 percento, a fronte di una crescita cinese del 9.6 percento (World Bank, 2023). Qualcuno addirittura ipotizzò di dover aggiungere la lettera T all’acronimo BRICS – il gruppo che includeva le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (Ayan, 2019).

Tuttavia negli anni la crescita economica del paese si è drammaticamente arrestata. Innanzitutto, il paese ha iniziato a soffrire una pesante crisi economica. La politica monetaria imposta in Turchia dal presidente Recep Tayyip Erdoğan ha di fatto approfondito le difficoltà economiche del paese, con un’inflazione alle stelle e la lira turca in picchiata rispetto alle principali valute (Martino, 2021). Con lo scoppio della guerra causata dall’invasione russa dell’Ucraina, il presidente turco ha cercato – e di fatto ci è riuscito almeno in parte – a ricollocare il paese al centro delle attività diplomatiche mondiali. Considerate le ottime relazioni politiche che la Turchia oggi detiene con la Russia e gli importanti accordi commerciali che ha stretto con l’Ucraina, in effetti sembrava davvero che i turchi potessero ambire a un privilegiato ruolo di mediazione (D’Angelo, 2022). È probabile che lo stesso Erdoğan puntasse a ricollocare il paese in una posizione più centrale, dopo che per anni veniva trattato come lo sgradevole alleato, irrispettoso dei diritti umani e dei principi democratici.

L’ultima, finale e drammatica svolta è arrivata la notte del 6 febbraio 2023, quando due potenti scosse di terremoto hanno colpito la Turchia meridionale e centrale. Il bilancio è stato spaventoso. Dopo giorni di attività di salvataggio, il paese conterà più di 50 mila vittime, una cifra inimmaginabile, che ha profondamente turbato la popolazione turca e che segna inevitabilmente uno spartiacque per il paese.

Va ricordato, inoltre, che quando l’AKP nacque nei primi anni duemila, basò in larga parte la sua retorica proprio accusando la vecchia classe dirigente di essere stata incapace nella prevenzione e nella ricostruzione di un altro precedente terremoto, quello che colpì i territori di Izmit nel 1999, provocando anch’esso circa 20 mila vittime.

È in questo clima di preoccupazione economica e shock per la tragedia appena vissuta che si svolgeranno le elezioni presidenziali.

Inoltre, come si è visto in una recente intervista, lo stesso Erdoğan – sessantanove anni di cui gli ultimi venti trascorsi alla guida del paese – appare più stanco e affaticato, quando è stato costretto a interrompere la diretta televisiva per un non meglio precisato malore. 

Un leader e un’opposizione capaci

I sondaggi considerano aperta la sfida elettorale di maggio. E questo, all’interno di un regime autoritario competitivo, rappresenta un dato importante. Fra tutti, dimostra una notevole capacità delle opposizioni. A febbraio 2022, sei partiti principali d’opposizione, ad esclusione del partito filocurdo HDP che però ha poi deciso di non presentare un proprio candidato, si sono incontrati per firmare uno storico patto, nel quale si sono impegnati a correre insieme per sconfiggere Erdoğan.

Una volta giunti al governo, l’idea sarebbe quella di concentrarsi principalmente su due aspetti: una riforma costituzionale che riporti il paese a un sistema parlamentare e la riorganizzazione dello Stato. L’idea di fondo delle opposizioni è quella per cui il ventennio guidato da Erdoğan ha così cambiato l’assetto istituzionale del paese, che è necessario unire le forze il tempo necessario per riorganizzarsi. Una volta raggiunto questo obiettivo comune, le diverse forze politiche potrebbero correre autonomamente.

In effetti, i partiti che fanno parte di questo accordo sono assai diversi tra l’oro. Tra essi, spicca primo fra tutti il CHP, il Partito repubblicano affiliato in Europa al Partito socialista europeo. Ma c’è anche lo İyi Partisi, il partito fondato da Meral Akşener, che in passato era un’esponente del partito nazionalista di destra MHP, storicamente legato alla frangia estremista dei lupi grigiBozkurtlar in turco, un movimento estremista nazionalista  che ha tra i suoi fondamenti ideologici l’ideale del panturchismo, cioè l’unione di tutte le popolazioni di cultura turca, la xenofobia nei confronti delle minoranze etnico-religiose e un generale atteggiamento militarista e parafascista.

In più, figurano nella coalizione altri partitini minori, fondati da ex alleati di Erdoğan, tra cui l’ex primo ministro ed ex ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu. Si è trattato di una scelta intelligente perché, di fronte ai leader populisti a lungo al potere, l’unica strategia possibile appare proprio quella di unirsi assieme e costituire una sufficiente forza di blocco (Mounk, 2022).

Cosa accadrà?

Come detto, la partita sembrerebbe aperta. Erdoğan – che da vent’anni sconfigge le opposizioni – appare questa volta più stanco. Il leader dell’opposizione Kiliçdaroğlu ha avuto il duplice merito di tenere unita una coalizione assai eterogenea, e di aver condotto una campagna elettorale positiva. Si è concentrato poco sull’avversario, e ha cercato di promuovere una prospettiva futura del paese seria e credibile. Qualora dovesse vincere, saranno comunque numerosissime le difficoltà che incontrerà: la ripresa economica, la ricostruzione post-sisma, con un Erdoğan leader dell’opposizione che certamente sarà col fiato sul collo degli avversari.

Sarà inoltre interessante vedere come l’Europa – e più in generale l’Occidente – si porrà di fronte ad un cambio di governo. Esistono davvero possibilità che si riapra un dialogo tra Europa e Turchia? Potrebbe invece scoprirsi ad esempio, che Erdoğan al potere, soprattutto perché negli ultimi anni ha preso una piega sempre più autoritaria, ha permesso all’UE di eludere la questione di un’eventuale adesione turca (Lynch, 2023).

Qualora invece dovesse vincere Erdoğan, il timore è quello di una stretta ancora maggiore su tutto il paese. A cento anni esatti dalla fondazione della repubblica turca, Erdoğan potrebbe ergersi a nuovo padre della patria turca, a nuovo Atatürk. Per quanto la Turchia oggi presenti ancora spazi di libertà importanti, potrebbe svilupparsi una morsa ancora più stretta nei confronti della società civile, che è presente e resiste, ma che potrebbe essere fiaccata dall’ennesima vittoria del leader populista.

La sua sconfitta, invece, potrebbe rappresentare un bel segnale, una “guida” per gli altri paesi che oggi si trovano alle prese con leader populisti che appaiono imbattibili. 

Per approfondire

LIMES Erdoğan ha paura di perdere il voto del 2023, quindi cambia i confini elettorali

Ayan, A. (2019). Adding ‘T’ to BRICS: A NATO Ally in Transition. Retrieved from e-International Relations: https://www.e-ir.info/2019/07/09/adding-t-to-brics-a-nato-ally-in-transition/#google_vignette

D’Angelo, M. (2022, March). Ukraine war: Turkey’s unique role in peace negotiations. Retrieved from The Conversation: https://theconversation.com/ukraine-war-turkeys-unique-role-in-peace-negotiations-180265

Esen, B., & Gümüşçü, S. (2016). Rising competitive authoritarianism in Turkey. Third World Quarterly, 1581-1606.

Lynch, S. (2023, May 11). Why the EU loves Erdogan. Retrieved from Politico EU: https://www.politico.eu/article/turkey-why-the-eu-loves-recep-tayyip-erdogan-elections/

Martino, F. (2021). Turchia, la politica monetaria di Erdoğan spinge inflazione e deprezzamento della lira. Retrieved from Osservatorio Balcani e Caucaso: https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Turchia-la-politica-monetaria-di-Erdogan-spinge-inflazione-e-deprezzamento-della-lira

Mounk, Y. (2022). Democrazia vs Popolo. Feltrinelli.

The Economist. (2023, May 4). The Economist. Retrieved from https://www.economist.com/briefing/2023/05/04/could-turkeys-strongman-be-on-the-way-out

World Bank. (2023, May). World Bank Dataset. Retrieved from World Bank: https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?end=2013&locations=TR-CN&start=2003

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