di Salvatore Sinagra (Comitato Scientifico, CESPI)
Sono passati ormai quattordici mesi dall’invasione dell’Ucraina ed è forse tempo di fare qualche bilancio sulla situazione dei paesi postcomunisti dell’Europa Centro-Orientale. Tutti i governi della “nuova” Europa, a prescindere dagli orientamenti politici, hanno preso posizione a favore dell’Ucraina; la Polonia, la Cechia , i piccoli paesi baltici, sono stati in prima fila nell’accoglienza dei profughi ucraini. Unica eccezione è il caso dell’ungherese Orbán, che se da un lato si è fatto fotografare al confine ungherese ad accogliere i migranti, dall’altro non ha esitato a vietare nel suo paese il transito di armi dirette in Ucraina, ad attaccare Zelensky e a rilanciare in modo improbabile il dialogo con Putin, ha per esempio affermato che solo Trump ha una minima speranza di raggiungere un accordo di pace. Inoltre non possono essere non segnalate le significative dinamiche inflative che hanno colpito, molto più dei paesi della “vecchia” Europa i paesi postcomunisti negli ultimi due anni. Dalla Cechia alla Polonia oggi l’inflazione pare il principale tema di politica interna. L’aumento dei prezzi al consumo forse solo per qualche mese è stato effetto della crescita del prezzo del gas, oggi pare che i suoi principali driver siano le politiche fiscali e monetarie espansive poste in essere per ottenere una rapida ripersa dopo il crollo del PIL dovuto al Covid-19. Tuttavia potrebbe emergere nel medio-lungo periodo un problema politico poiché l’opinione pubblica potrebbe percepire l’inflazione primariamente quale conseguenza della guerra.

Un articolo di Euractiv di aprile 2022 enfatizza che da questo contesto potrebbero trarre vantaggio forze politiche più o meno dichiaratamente filorusse, che cavalcano teorie del complotto o che si oppongono all’accoglienza dei migranti[1].

Oggi l’Europa Centrale ed Orientale si trova di fronte a diversi interrogativi:

  • Con Orbán che prende una posizione “eretica” sull’Ucraina è finito per sempre il “famigerato” gruppo di Visegrád, fucina di regimi non più democratici come la Polonia e l’Ungheria e capace di dare filo da torcere alla Commissione Europea sui migranti?
  • Se la Polonia accoglie un milione e mezzo di migranti ucraini e la Cechia mezzo milione è almeno in parte cambiato l’approccio dei Paesi di Visegrád sull’immigrazione?
  • Quali sono stati i ragionevolmente gli impatti di guerra e di inflazione sulle tornate elettorale che si sono svolte dopo l’inizio dell’invasione?
  • Quali sono le prospettive future anche in vista delle imminenti elezioni in Slovacchia (settembre) e Polonia (ottobre)?

La fine di Visegrád?

La guerra sembra aver distrutto per sempre il gruppo di Visegrád, una blanda cooperazione intergovernativa senza istituzioni tra paesi che per la verità dal 1989 hanno avuto quasi sempre obiettivi e orientamenti politici divergenti. Visegrád nei sui 32 anni di storia è apparso visibile solo quando, dal 2015, tutti i suoi membri si sono opposti alla redistribuzione dei migranti in arrivo da paesi extraeuropei nei paesi rivieraschi dell’Unione. Già prima della guerra, dopo le elezioni 2021, a Praga qualcuno nella coalizione di governo si era chiesto se fosse opportuno continuare a collaborare con le non più democratiche Polonia e Ungheria oppure cercare nuove alleanze, per esempio con la Germania. Una delle immagini simbolo della guerra è la foto che ritrae insieme, in viaggio verso Kiev, il premier liberale e atlantista ceco Fiala, il premier ultraconservatore polacco Morawiecki ed il premier populista sloveno Janša, un tempo vicino ad Orbán. Una foto che mette insieme tre leader molto diversi ed una foto in cui manca Orbán, il più visibile e longevo dei leader dell’Europa postcomunista. Di sicuro oggi Praga e Varsavia non riescono più a comunicare con Budapest, non sembra invece che la scelta occidentale abbia riavvicinato la Polonia a Bruxelles. Nonostante il presidente del consiglio dell’Unione Europea Michel abbia lodato la Polonia per il ruolo nella vicenda ucraina, è in corso un contenzioso tra istituzioni UE e Polonia segnatamente all’indipendenza della magistratura che ha portato al congelamento dei fondi del Recovery Plan destinati alla Polonia pari a 35 miliardi.

Una svolta sull’immigrazione?

Dal 24 febbraio 2022, secondo l’UNHCR, circa 11 milioni di ucraini hanno varcato la frontiera polacca. L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite lo scorso ottobre scriveva, riferendosi alle città dell’est europeo di solidarietà mai vista, ma che le pressioni migratorie stavano comportando sfide enormi.[2] Così all’inizio del 2022 il governo polacco che fino a poco tempo prima aveva accusato il dittatore bielorusso Lukashenko di usare i migranti  extraeuropei come strumento di pressione aprì il paese ai rifugiati ucraini e l’allora presidente ceco Zeman, noto per le sue campagne anti-migranti ed islamofobe definì gli ucraini “veri profughi che una volta finita la guerra torneranno a casa”. Su Limes qualcuno ha anche scritto, riferendosi all’atteggiamento dei polacchi nei confronti degli ucraini di “affinità selettive”[3].

Il caso polacco è paradigmatico, anche perché la Polonia è uno tra i pochi paesi dell’Europa Centrale ad essere percepito come “etnicamente omogeno”. Dopo il 2004 si verificarono migrazioni di massa dalla Polonia verso i paesi più ricchi dell’Unione Europea. Ancora nel 2011 la presenza di stranieri in Polonia era trascurabile, dal 2015 la Polonia è diventata una meta privilegiata dei migranti. Nel 2020 le autorità polacche affermavano che in pochi anni gli immigrati erano passati da 100.000 a 2 milioni e molti di questi erano ucraini[4]. In sostanza pare che negli ultimi anni in Polonia si siano incontrare diverse dinamiche: la disoccupazione è scesa dal 20% degli anni dell’adesione all’UE al 3,3% del 2019, la demografia è risultata stagnante e la situazione difficile ha spinto molti ucraini a trasferirsi in Polonia. Circa un milione e mezzo di migranti economici ucraini non pare abbiano causato tensioni sul mercato del lavoro. Quindi se qualcuno si chiede se la guerra in Ucraina stia trasformando la Polonia in un paese multietnico si sta ponendo una domanda sbagliata o per lo meno tardiva, perché per polacchi ed ucraini la guerra è iniziata nel 2014 e la Polonia sta cambiando da diversi anni. Viene il dubbio che i governi di Visegrád, con piena occupazione e demografia stagnante, abbiano bisogno di migranti e senza fare troppa comunicazione stiano scegliendo gli ucraini più simili a loro. La Polonia è il laboratorio di tale operazione.

Elezioni in tempo di guerra

Il primo paese dell’Europa Centro-Orientale a votare per le politiche dopo lo scoppio della guerra è stato l’Ungheria, all’inizio di aprile 2022. Il premier uscente Orbán, che mai ha fatto mistero di guardare a Putin come un modello, critico sulle sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014 e non certo amico di Zelensky, ha vinto le elezioni con un margine di venti punti laddove i sondaggi lo davano in vantaggio di 4-5 punti. E’ improbabile che gli ungheresi abbiano dimenticato i carrarmati del 1956, ma forse in tempi di grande instabilità si sono sentiti maggiormente tutelati da un leader conosciuto e amico di Putin, piuttosto che da un improvvisato cartello delle opposizioni, guidato da Péter Márki-Zay, un sindaco di una città provincia.

A fine aprile 2022 le elezioni parlamentari slovene hanno sancito la sconfitta del premier populista Janez Janša. Visto che sia il primo ministro uscente, nonostante l’amicizia con Orbán, che le opposizioni avevano assunto una posizione netta pro-Ucraina appare plausibile che le elezioni siano state l’ennesimo voto di tre quarti degli sloveni contro Janša e la guerra abbia spostato poco.

A ottobre 2022 si è votato in Lettonia. Il dato rilevante delle elezioni è stato il crollo dal 20% a poco sotto lo sbarramento del 5% del partito di orientamento socialdemocratico Centro dell’Armonia che raccoglie storicamente il voto dei russi e che però ha condannato l’aggressione dell’Ucraina. Il partito dei russi non è stato seguito sulla scelta pro-Ucraina dal proprio elettorato.

A marzo 2023 si è votato in Estonia, la premier liberista Kaja Kallas, durissima con Putin, è stata riconfermata nonostante l’inflazione del 2022 al 20%. Il Partito di Centro, espressione della minoranza russa, in calo di diversi punti si attesta al 15% e paga più che scelte di posizionamento sull’Ucraina scandali e non edificanti esperienze di governo.

Le elezioni Bulgare di Aprile 2023, le quinte da aprile 2021 perché le ultime quattro tornate elettorali non hanno portato alla formazione di un governo, si sono concluse con un parlamento in cui si fa fatica ad individuare una maggioranza naturale. Il partito più votato è stato Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria del controverso ex premier Borissov, che in passato si è presentato come un europeista che però vuole tutelare l’interesse della Bulgaria. Un paio di punti dietro è arrivata la coalizione europeista e anticorruzione costruita attorno a Continuiamo a Cambiare, partito nato a seguito degli scandali che hanno coinvolto Borissov. I filorussi di Rinascita crescono passando dal 10% al 14%, ma sono fuori dai giochi per la formazione del nuovo governo. Quattro tornate elettorale sprecate senza formare un esecutivo e l’inflazione al 15% (dato 2022) hanno reso necessaria la collaborazione tra due coalizioni, quella dell’ex premier Borissov e quella che più si oppone all’ex premier Borissov, che formeranno un governo che dovrebbe essere atlantista.

A ciò si aggiunge che a gennaio 2023 in Repubblica Ceca, l’ex generale Petr Pavel, già presidente del comitato militare della NATO, ha vinto le elezioni presidenziali contro l’ex premier Babiš, una sorta di Berlusconi locale, che ha provato a galoppare le paure dei cechi per il caro energia e l’inflazione e ha addirittura affermato che Pavel avrebbe portato il paese in guerra. E’ dubbio quanto le presidenziali ceche possano essere un test sul sentiment del paese su guerra, migranti ed inflazione. Babiš è un personaggio controverso, che per 8 anni è stato determinante per fare il governo, è capace di ottenere il 30-35% dei consensi, ma fa fatica a salire sopra il 40%. L’attuale governo, che si fonda su una coalizione di due coalizioni, guidato dai liberisti dell’ODS, sembra poco attento alle sofferenze economiche del paese, come da tradizione dell’ODS, anche in tempo di crisi. Troppo concentrato sui conti in ordine il governo in un paese con debito pubblico al 30% del PIL, rischia di favorire il ritorno di Babiš, ma le prossime elezioni sono ancora lontane: si terranno a fine 2025

Le elezioni alle porte

A settembre 2023 si voterà per le politiche in Slovacchia e poco dopo in Polonia.

La situazione è particolarmente spinosa in Slovacchia, dove il governo conservatore, che si fondava sull’alleanza tra un partito populista pigliatutto – Indipendenti e Gente Comune -, un partito liberista – Libertà e Solidarietà – ed altre forze di destra conservatrice ed ultraconservatrice è rimasto senza maggioranza a settembre  2022, perché Libertà e Solidarietà ha abbandonato la maggioranza per protesta per l’approvazione di un pacchetto di aiuti alle famiglie con il voto di un partito di estrema destra all’opposizione. Nel paese una buona fetta della popolazione è contraria agli sforzi pro-Ucraina ed ha sentimenti filorussi (tratto che da molti anni distingue gli slovacchi dagli altri popoli si Visegrád). L’ex premier Robert Fico, oggi all’opposizione, è colui che sta dando più voce alla Slovacchia contraria alla scelta atlantista della presidente Čaputova e del governo in carica. E’ significativo che tra i primi quattro partiti nei sondaggi nessuno faccia parte della compagine governativa. Il partito di sinistra populista, lo SMER di Robert Fico, sembrerebbe contendersi con il 16-17% dei voti il primo posto, con Hlas di Peter Pellegrini, forza nata da una scissione dallo SMER, che si presenta socialista in economia ma conservatrice sulla famiglia. Al terzo posto si attesterebbe Slovacchia Progressista della presidente Čaputova, poi poco sotto il 10 seguirebbero Republika, nato da una scissione dal partito filo-nazista Slovacchia Nostra ed il partito ultraconservatore Siamo una Famiglia, il primo nei sondaggi tra le forze di governo. Il partito che ha espresso i due ultimi premier, quasi 25% alle ultime elezioni, sembrerebbe, anche causa scissioni poter perfino non superare la soglia del 5%. In un quadro complicatissimo, in cui tanto dipenderà dalle forze che supereranno lo sbarramento del 5%, sembra che il populista di sinistra Fico si possa alleare con l’estrema destra di Republika, scelta non senza precedenti perché lo SMER ha già governato dal 2006 al 2010 e dal 2016 al 2020 con il Partito Nazionalista Slovacco. L’area liberal sarà rappresentata da Slovacchia Positiva della Čaputova e tanto dipenderà da cosa farà Hlas, il partito “socialista ma non troppo” e che forse non vuole l’etichetta di populista, dell’ex premier Pellegrini come qualcosa dipenderà da chi, tra i piccoli partiti supererà lo sbarramento. E’ ragionevole pensare che la sinistra conservatrice di Pellegrini governi con il partito della presidente Čaputova? Pellegrini può prendere le distanze da Fico e poi fare un governo con Fico e addirittura con l’estrema destra?  Le elezioni rischiano di dare alla Slovacchia un parlamento incapace di esprimere un governo dopo un anno di ordinaria amministrazione di un governo senza maggioranza. Il futuro della Slovacchia sembra quanto mai incerto ma si fa fatica a capire quali siano gli impatto della guerra.

Più stabile, anche se si sentono gli impatti della crisi, è la situazione in Polonia. Diritto e Giustizia, il principale partito di governo, dovrebbe ottenere ad ottobre circa il 35% dei voti alle elezioni di ottobre; dovrebbero entrare il parlamento anche gli ormai storici avversari del partito dei fratelli Kaczyński, i liberali della Piattaforma Civica, poco meno del 30% secondo i sondaggi; il principale cartello delle sinistre e l’estrema destra filorussa della Confederazione entrambi con circa il 10%. Il dato evidente è che i filorussi sono in crescita e ritornati ai massimi storici ma probabilmente non “caolizionabili”. I tradizionali partner di Diritto e Giustizia, un paio di piccole forze di destra radicale, sono stimate attorno all’1% : Tanto dipenderà da quanto saranno rappresentate in parlamento e da cosa faranno due forze centriste, Polonia 2050 ed una coalizione di emanazione popolare, che hanno secondo i sondaggi rispettivamente l’8 ed il 5%. La minaccia del governo di Diritto e Giustizia di chiudere le porte al grano ucraino di metà aprile è un indicatore della situazione comunque delicata per il principale partito di governo. Diritto e Giustizia può aprire le porte di un paese che non ama gli immigrati ai profughi ucraini, ma non può rischiare di perdere consensi nelle aree rurali del paese dove storicamente ha costruito i suoi successi. Diritto e Giustizia verosimilmente sarà ancora una volta il partito di maggioranza relativa, potrebbe però trovarsi senza alleati, ma ha due grandi vantaggi si confronta con opposizioni divise su tutto ed un suo uomo, il presidente Duda, si troverebbe a gestire la formazione del nuovo esecutivo nel caso in cui dal nuovo parlamento non emergesse una maggioranza naturale. Autorevoli commentatori affermano che nonostante per l’inflazione ed il Recovery Plan congelato si siano stretti i cordoni della borsa del governo, Diritto e Giustizia abbia ancora spazio per guadagnare qualche punto e poter avere i numeri per governare anche in caso di scomparsa dal parlamento dei suoi alleati di questa legislatura, con cui i rapporti tra l’altro non sono stati idilliaci.

Conclusioni

La pandemia, la guerra e l’inflazione ci restituiscono un quadro di grande instabilità e difficile da decifrare: forse gli effetti più grossi del mutato contesto devono ancora verificarsi. I partiti filorussi anche se crescono non vanno al potere, perché spesso espressione di un’estrema destra sempre meno in grado di dialogare con gli altri, ma è sempre più difficile fare un governo dopo le elezioni. In Bulgaria da Aprile 2021 si è votato ben cinque volte in due anni e forse con gran fatica si farà un governo in questi mesi, in Slovacchia regna l’’instabilità e perfino in Polonia le elezioni autunnali potrebbero portare ad un parlamento in cui è difficile identificare una maggioranza. Nel baltico i partiti filorussi sono in declino. Ovunque in Europa Centro-Orientale ci sono problemi economici, la vicenda del grano è sintomo della sofferenza delle aree rurali e non è chiaro quanto durerà la solidarietà e quali effetti possano avere i migranti ucraini i Repubblica Ceca, Polonia e nel baltico nel medio-lungo periodo. Oggi le principali paure sono economiche, ma non manca neanche la propaganda che si muove sul piano culturale, qualcuno nella Polonia che ormai dal 2015 sta cambiando con l’arrivo degli ucraini, sta paventando rischi non solo relativi all’abbassamento della qualità dell’istruzione ma perfino di contaminazione della lingua. Nel lungo periodo la solidarietà potrebbe lasciare spazio a tensioni sociali e gli effetti dell’inflazione non vanno trascurati in un’area in cui la crescita significativa e alcuni esperimenti riusciti di industrializzazione hanno portato a trascurare il problema delle disuguaglianze, la sfiducia nella politica tradizionale e le tendenze al messianismo.


[1] K. NIKOLOV – M. HUDEC, Resentment for Ukrainian refugees grows in central and eastern Europe, Euractive Bulgaria, 12 maggio 2022 https://www.euractiv.com/section/politics/short_news/resentment-of-ukrainian-refugees-grows-in-central-and-eastern-europe/

[2] Despite huge solidarity with Ukraine’s refugees, cities in Eastern Europe and beyond cannot shoulder burden alone, warn UN talks, 7 ottobre 2022 https://unece.org/covid-19/press/despite-huge-solidarity-ukraines-refugees-cities-eastern-europe-and-beyond-cannot

[3] A. PERRUCCHINI, L’affinità (s)elettiva della Polonia per i rifugiati d’Ucraina, Limes, 5 ottobre 2022

[4] M. DUSZCZYK – P. KACZMARCZYK, The War in Ukraine and Migration to Poland: Outlook and Challenges. 2022

Anche l’Economist a febbraio 2020 scriveva che la Polonia era diventata una terra d’immigrazione

The Economist, Poland is cocking up migration in a very European way, 22 febbraio 2020

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