- di Salvatore Sinagra (Comitato Scientifico, CESPI)
- Le elezioni presidenziali in Cechia
Il 27 ed il 28 gennaio si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali ceche. Il 13 ed il 14 gennaio si era svolto il primo turno. Il Presidente della Repubblica in Cechia ha un ruolo cerimoniale e di rappresentanza, l’esecutivo è coordinato dal premier come in tutte le repubbliche parlamentari, l’unica circostanza che permette al presidente di influire sugli equilibri politici è il fatto che il Presidente della Repubblica, dopo le elezioni politiche e nel caso di crisi di governo, sceglie l’uomo o la donna a cui conferire l’incarico per formare un nuovo governo, cosa che non è irrilevante in un paese in cui dal divorzio di velluto nel 1993 si sono avvicendati 13 premier[1], 3 solamente nella legislatura 2002-2006, vi sono stati tre governi di scopo supportati da tutti i partiti, per ben nove anni il premier non ha avuto una maggioranza alla Camera Bassa e in almeno tre tornate elettorali sono emersi parlamenti che non sembravano in grado di esprimere una maggioranza.
Dal 1993 la Repubblica Ceca ha avuto tre presidenti della Repubblica, tutti capaci di conquistare un secondo mandato, dal 2013, dopo la novella costituzionale del 2012, il Presidente è eletto direttamente dal popolo. Il primo presidente della Repubblica Ceca fu Václav Havel, eroe della resistenza anticomunista, dopo il 1989 la sua azione politica fu caratterizzata da posizioni atlantiste, antirusse e filoamericane. I suoi successori, Václav Klaus e Miloš Zeman si qualificarono per una linea politica populista, euroscettica (il secondo sicuramente in modo ambiguo) e filorussa. Havel fu accusato spesso di dare indirizzi politici, Klaus era divisivo ed aveva rapporti burrascosi con le autorità indipendenti ed è ritenuto da molti giuristi che Zeman abbia addirittura violato i limiti costituzionali. Il passaggio all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, unito a dubbi sull’interpretazione della costituzione, ha sicuramente reso il ruolo del Presidente più ambiguo.
Scrive Angela Di Gregorio, professore ordinario dell’Università Statale di Milano, specializzata in questioni di Europa Centro Orientale, che il passaggio all’elezione diretta del capo dello Stato, riforma avulsa dalla tradizione costituzionale ceca, conseguenza dello shock che aveva attraversato il paese dopo l’iter parlamentare lungo ed opaco che caratterizzò la scelta del successore di Havel, comporta diversi dubbi. Come può un presidente essere garante se si presenta agli elettori con un programma elettorale e se per prendere voti deve rappresentare un elettorato o una parte politica, raccogliere firme o inseguire l’appoggio di forze politiche? Le campagne elettorali delle presidenziali con elezioni diretta sono state assai surreali. Nel 2013 Zeman sconfisse il suo avversario Karel di Schwarzenberg, uomo nato in una famiglia che parlava tedesco, con trascorsi in Austria e cittadinanza svizzera affermando che se avesse vinto il suo sfidante avrebbe restituito ai tedeschi dei Sudeti i beni che la Cecoslovacchia aveva loro confiscato con i decreti Beneš durante la seconda guerra mondiale. Nel 2018 Zeman sconfisse con un risicato margine lo sfidante Drahoš puntando sulla paura dei migranti. Il presidente della Repubblica in Cechia non può né annullare i decreti Beneš e procedere a restituzioni né incidere sulle politiche migratorie del paese.
Altro tema evidente è la “departitizzazione” delle presidenziali. Fin dalle prime elezioni dirette del 2013 le presidenziali sono state dominate da candidati indipendenti, spesso tutti i più rilevanti partiti non hanno espresso alcun candidato.
- La campagna ed i risultati elettorali nel 2023
Possono candidarsi alle presidenziali ceche i cittadini di almeno 40 anni, raccogliendo le firme di 50.000 cittadini, 20 deputati o 10 senatori. Il presidente uscente Miloš Zeman non poteva per limiti costituzionali correre per un terzo mandato.
I candidati in corsa per il primo turno erano 8, i principali, quelli che poi hanno ottenuto al primo turno almeno il 5%,[2] erano 5:
- L’ex generale Petr Pavel, 61 anni, indipendente, primo presidente del Comitato Militare della NATO proveniente da un paese del dissolto Patto di Varsavia
- Danuše Nerudova, 44 anni, docente universitaria in discipline economiche con una folgorante carriera in un ateneo privato di Brno, seconda città della Repubblica Ceca
- Pavel Fischer, 57 anni, politico conservatore, senatore, già diplomatico
- Andrej Babiš, 68 anni, imprenditore, tra i cinque uomini più ricchi del paese; al centro di molte inchieste la più nota relativa ad una frode comunitaria per fondi ottenuti per una residenza per anziani; ministro delle finanze dal 2013 al 2017 e primo ministro dal 2017 al 2021; leader dell’opposizione; candidato ufficiale del suo partito personale e populista ANO
- Jaroslav Bašta, 74 anni, diplomatico, già ambasciatore in Ucraina e Russia, candidato ufficiale del partito di estrema destra SPD e appoggiato dal partito ultraconservatore Trikolora e da altre forze di estrema destra. Attualmente senatore dell’SPD.
In estrema sintesi vi erano da una parte tre candidati, Pavel, Nerudova e Fischer che parlavano a quella che i detrattori dell’ex premier Babiš chiamano la “Cechia democratica”, ovvero coloro che chiedono la fine dei conflitti d’interessi di Babiš, più legalità, una chiara scelta atlantista. Dall’altra parte vi erano, in una dialettica più complessa, Babiš e quello che nella sostanza è diventato il candidato unitario dell’estrema destra Bašta, che parlavano agli sconfitti della transizione (i più cattivi direbbero ai nostalgici del regime), Babiš grazie agli interventi sul welfare che ha fatto da premier, che per la verità non hanno allontanato per nulla Praga dalla disciplina di bilancio e Bašta con le promesse di cambiamento che può fare chi mai ha avuto responsabilità di governo.
La sinistra, comunista e socialdemocratica ormai extraparlamentare, ha provato tra tante contraddizioni a convergere su un unico candidato, il presidente della Confederazione Ceco-Morava dei Sindacati Josef Středula imbattendosi in molti ostacoli. Non solo storicamente socialdemocratici e comunisti in Cechia hanno fatto fatica a comunicare, ma più di recente su questioni come guerra ed inflazione hanno preso posizioni molto distanti. Per esempio a settembre a Praga hanno avuto luogo notevoli manifestazioni organizzate dall’estrema destra filorussa che facevano leva sulla paura e sull’inflazione. I comunisti hanno aderito a tali manifestazioni, i socialdemocratici sono rimasti in silenzio e i sindacati con Středula in testa hanno organizzato una contro-manifestazione contro il carovita stando attenti a non mescolarsi con l’estrema destra. Středula che alla fine della campagna elettorale si attestava al 3% – meno della metà dei voti di comunisti e socialdemocratici alle ultime politiche– ha deciso di ritirarsi ed appoggiare Danuše Nerudova. In sostanza il sindacalista ceco prima ha deciso di stare nel perimetro della Cechia democratica (eppure quando lanciò la sua campagna elettorale affermò perfino che con lui presidente e con il ritorno di Babiš al governo i lavoratori sarebbero stati meglio), poi ha scelto Nerudova perché l’unica non chiaramente conservatrice (le alternative nel campo democratico erano Fischer, chiaramente un cattolico conservatore e Pavel un militare ed elettore di SPOLU). Una scelta simbolica, a favore della prima donna in grado di competere per la Presidenza della Repubblica che inoltre non è riconducibile ai tradizionali partiti politici conservatori cechi. Andando ad analizzare il merito delle posizioni Nerudova e Pavel appaiono impossibili da distinguere su questioni etiche e Pavel pare perfino più a sinistra di Nerudova in tema di progressività delle imposte, inoltre considerando che il Presidente in Cechia ha un ruolo di garante sarebbe stato più opportuno tenere in considerazione oltre a millimetrici posizionamenti più a sinistra la conoscenza della macchina amministrativa dello Stato. Se tutte le ultime tornate elettorali (politiche, per il senato, europee, regionali) hanno segnato l’irreversibile declino della sinistra che è alla fine diventata extraparlamentare, queste elezioni hanno addirittura segnato l’incapacità della sinistra di sintetizzare una proposta politica in una candidatura, nel paese che ha la più alta percentuale di addetti nel manifatturiero nell’UE e nel momento in cui, come mai dal 1989 in avanti, è forte la percezione di disuguaglianza e del rischio di povertà.
Il primo turno si è concluso con Pavel e Babiš entrambi al 35% e con Nerudova al 14%, La docente universitaria, sconosciuta ai più fino a qualche mese fa ha ottenuto quasi il 15% eppure i sondaggi delle ultime ore la davano attorno o sopra il 20%, un sondaggio la dava addirittura tre punti dietro i due primi contendenti. La spiegazione più plausibile del crollo rispetto ai sondaggi della vigilia è che gli elettori si siano concentrati sui due candidati principali, facendo del primo turno una sorta di ballottaggio anticipato. Molti elettori potenziali di Nerudova e Fisher hanno scelto già al primo turno Pavel, come molti elettori di Bašta hanno optato per Babiš. Nelle intenzioni di voto per le parlamentari l’SPD e Trikolora, partiti che hanno appoggiato Bašta alle presidenziali, secondo il sito Politico.eu otterrebbero circa il 14%[3] e Bašta ha ottenuto meno del 5%.
Pavel dopo il primo turno ha intensificato la sua campagna elettorale fondata sulla promessa di dare ai cechi “un presidente di cui non vergognarsi”, Babiš ha provato in modo un po’ paradossale a rinfacciare a Pavel che per qualche anno in gioventù ha avuto la tessera del Partito Comunista – pure Babiš era iscritto al partito, è stato un collaboratore della polizia segreta e verosimilmente ha lucrato molto di più di Pavel della sua vicinanza alle élite comuniste accumulando un grande patrimonio – inoltre Babiš ha commissionato manifesti che denunciavano il pericolo di esser portati in guerra con l’ex generale Pavel presidente. Infine Babiš ha provato in tutti i modi a soffiare sul fuoco della sofferenza dovuta all’inflazione. Da parte sua il team di Pavel ha pubblicato un elenco di beni il cui prezzo è cresciuto negli ultimi mesi, prodotti dal gruppo industriale di Babiš. Cinque dei sei candidati esclusi dal secondo turno hanno fatto un endorsement a Pavel, il sesto, Bašta, non ha dato alcuna indicazione di voto. Al secondo turno Pavel ha sconfitto Babiš con oltre il 58% dei voti.
- Principali considerazioni sui risultati
- Dopo vent’anni e due presidenti populisti, euroscettici e filorussi al castello sale un uomo atlantista e moderato
- Pavel arriva al castello dopo un ventennio in cui la presidenza era stata sempre occupata da un politico di lungo corso e grande esperienza. Sia Klaus che Zeman hanno prima di diventare presidente ricoperto il ruolo di premier. Sebbene Pavel sia un uomo delle istituzioni potrebbe pagare la scarsa conoscenza delle dinamiche parlamentari. Una cosa è diventare presidente, come fece Havel, senza esperienza nelle istituzioni, quando le istituzioni dovevano essere rifondate, altra è dover fare l’arbitro di politici nell’arena da diversi lustri. Poi su alcune questioni importanti, si pensi al Divorzio di Velluto, vi è la sensazione Havel pagò la sua poca esperienza nelle istituzioni. Pavel ha almeno apparentemente un grande vantaggio: la maggioranza ha numeri molto solidi e le prossime elezioni sono fissate per l’ottobre 2025
- Il fatto che i primi due candidati al primo turno abbiano strappato voti ad altri concorrenti è difficile da interpretare. Probabilmente Babiš ha preso almeno 5 o 6 punti dal bacino elettorale dei partiti (SPD e comunisti) che hanno appoggiato le proteste antigovernative di settembre motivate dal carovita. Ma verosimilmente i diversi elettorati si sono aggregati sui candidati favoriti ed ANO di Babiš non fagociterà automaticamente per esempio l’SPD. D’altra parte ANO e l’SPD, i due partiti che in gergo diciamo costituiscono il campo “populista” erano le uniche forze ad esprimere un candidato e dopo il secondo turno non è un caso il candidato dell’SPD Bašta sia stato l’unico a non effettuare alcun endorsement. Da un lato i 2.400.000 voti raccolti da Babiš al secondo turno rappresentano grosso modo i voti raccolti alle ultime elezioni politiche da ANO, dalle forze di estrema destra e dai comunisti (questi ultimi hanno numeri marginali), dall’altro dopo diverse tornate elettorali da cui Babiš esce sconfitto qualcuno può iniziare a pensare che l’imprenditore ceco sia l’ennesimo frutto dell’antipolitica ceca che ha vita breve, come i tanti partiti nati e scomparsi dopo il 2010, e ci sia possibilità di intercettare voti in fuga da ANO
- Difficile pesare, a pochi mesi dalle gradi proteste di settembre, l’impatto sul voto dell’inflazione e della paura per il futuro. Alcuni analisti cechi affermano che Pavel ha vinto con margine perché si è presentato come indipendente, se fosse stato il candidato ufficiale della coalizione di governo SPOLU avrebbe pagato la poca sensibilità dell’esecutivo per i recenti problemi sociali.
[1] In Italia, paese noto per la instabilità politica nello stesso periodo si sono avvicendati 11 presidenti del Consiglio dei Ministri, in Gran Bretagna 8 primi ministri, in Germania 4 cancellieri
[2] In realtà Jaroslav Bašta si è fermato al 4,75%
[3] Dati aggiornati a dicembre. https://www.politico.eu/europe-poll-of-polls/czech-republic/