
A cura di Enrico Breveglieri
Al termine dell’ultimo congresso del Partito Comunista Cinese, svoltosi nella Grande Sala del Popolo a Pechino dal 16 al 22 ottobre del 2022, il Ministro degli Esteri di Taiwan Joseph Wu ha dichiarato che la pressione che eserciterà la Cina nei confronti di quella che considera una provincia ribelle del suo territorio non sarà solo sul fronte militare, come avvenuto dopo la visita della Speaker della Camera Nancy Pelosi a Taipei, ma anche diplomatica.
Secondo Wu infatti la Cina continuerà a fare pressione su tutte le entità politiche che hanno rapporti con la Repubblica di Cina e cercherà di sottrarre a Taipei quei pochi Stati che ancora intrattengono relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan. Wu ha aggiunto che sono 8 gli Stati che dal 2016, anno in cui Wu ha preso ufficio, hanno interrotto le relazioni con Taiwan in favore di Pechino.
La situazione attorno a Taiwan è a dir poco calda, da qui la necessità di un piccolo excursus su tutti i Paesi che hanno spinto questi Paesi ad interrompere i legami con Taipei e cosa ha spinto la Cina ad intensificare la spinta (se di spinta si può parlare) diplomatica verso i cosiddetti “alleati diplomatici” di Taiwan.
Il primo Paese a togliere il riconoscimento formale a Taiwan è stato São Tomé e Príncipe, piccolo Stato del Pacifico, nel dicembre del 2016.
La piccola Panama ha riconosciuto ufficialmente Pechino nel 2017, seguita da due vicini (la Repubblica Dominicana e El Salvador) che hanno cambiato posizionamento nel 2018.
Nel 2018 Taiwan ha perso il riconoscimento di un altro alleato diplomatico, il Burkina Faso.
Nel giro di una sola settimana nel 2019 poi Taiwan ha perso altri due alleati nel Pacifico nelle Isole Salomone e Kiribati.
L’ultimo Stato ad aver disconosciuto Taiwan è stato il Nicaragua che a novembre 2021 ha interrotto il riconoscimento di Taipei dopo la vittoria di Daniel Ortega alle elezioni presidenziali.
Non ci sono solo Stati che riconoscono Pechino: va anche registrato il veto tenace da parte cinese sulla partecipazione di Taiwan alle organizzazioni internazionali. Prima tra tutti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dove l’assenza di Taiwan ha fatto rumore durante la pandemia di covid al netto dei risultati eccellenti della Repubblica di Cina nella prevenzione al contagio.
In particolare, a Taipei era stato concesso lo status di osservatore con il benestare cinese dal 2008 al 2016.
Al momento a Taipei restano solo quattordici Paesi con cui intrattenere relazioni diplomatiche formali: si tratta di Paraguay, Saint Lucia, Saint Kitts and Nevis, Haiti, Belize, Guatemala, Vaticano, Honduras, Saint Vincent and the Grenadines, Eswatini, Isole Marshall, Palau, Nauru e Tuvalu.
Le ragioni
Ci sono due motivi principali dietro a questa riduzione del consenso diplomatico attorno a Taiwan negli ultimi anni: una è la spinta nazionalistica di Xi Jinping, in carica dal 2012 e l’altra è verosimilmente legata alla presa di potere di un partito taiwanese sgradito a Pechino.
La data del 2016, citata da Wu come chiave per la spinta da parte di Pechino per togliere riconoscimento diplomatico a Taipei non è casuale. Corrisponde infatti all’inizio del secondo governo del Partito Democratico Progressista di Taiwan, un partito poco gradito a Pechino.
Il PDP è un partito che abbraccia e difende con molta decisione l’identità nazionale di Taiwan, distinguendolo dall’ideologia del partito di opposizione che per decenni ha governato Taiwan, il Kuomintang, che invece è fortemente contrario all’indipendenza vera e propria di Taiwan in favore di un mantenimento dello status quo nello Stretto sulla base di un’identità culturale fortemente legata alla Cina.
C’è poi da dire che la Cina, sotto la guida nazionalista dell’attuale segretario Xi Jinping, ha come priorità assoluta l’unificazione della madrepatria e questa pressione diplomatica è una delle molte sfaccettature di una vera e propria offensiva a tutto campo contro la sovranità di Taiwan.
Anche per il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi infatti non c’è altro futuro per Taiwan che non quello sotto l’egida di Pechino.
Ben venga la riunificazione (che a Taiwan praticamente nessuno vuole) pacifica ma la Cina è disposta a tutto pur di ottenere questo obiettivo.
Riconosciuta? Poco. Ma comunque fondamentale
Va però detto che Taiwan, anche con poco sostegno formale, resta comunque un punto di riferimento fondamentale nell’economia globale, anche per quei Paesi che non hanno rapporti diplomatici formali.
Le industrie di Taiwan sono responsabili per la produzione della stragrande maggioranza dei microchip di tutto il mondo, minuscole particelle di tecnologia che fanno funzionare qualsiasi cosa abbia una componente elettronica. Ed è una produzione che Taiwan sfrutta con sapienza per aprirsi nuove frontiere commerciali e diplomatiche.
E’ il caso della Lituania, dove il governo taiwanese pianifica di investire 200 milioni di dollari per potenziare il promettente settore locale e che ha aperto il proprio ufficio di rappresentanza informale da pochissimo nella capitale asiatica.
Anche l’Unione Europea, con il EU chips act, ha aperto le porte a produttori di semiconduttori come il colosso taiwanese TSMC nel vecchio Continente, allo scopo di colmare il gap tecnologico in questo settore che le industrie europee pagano nei confronti della Cina.
Pertanto, Taiwan o Repubblica di Cina resta un Paese chiave negli equilibri geopolitici regionali e mondiali e grazie al ruolo chiave della propria economia continua ad intrattenere scambi economici di vastissima portata con numerosi Paesi.