Diritti delle donne: un passo indietro

Bandiere viola Foto

A cura di Marilena Vimercati

Le piazze si colorano di viola

Il 20 marzo 2021, per conquistare il consenso elettorale della sua base più conservatrice, il governo di Recep Tayyip Erdoğan, dominato dal partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), ha deciso di uscire dalla Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica con un decreto presidenziale, senza alcuna discussione parlamentare e ignorando l’ampio consenso di cui essa godeva in gran parte del paese, dove la violenza contro le donne è in costante aumento. Il ministro della Famiglia, del lavoro e dei servizi sociali Zehra Zumrut Selcuk ha motivato la decisione dichiarando che i diritti delle donne sono garantiti nella legislazione nazionale e in particolare nella Costituzione.

Il giorno stesso donne turche appartenenti a movimenti femministi, ong e partiti di opposizione, sono scese in piazza a Istanbul colorandola di viola, il colore simbolo della piattaforma indipendente “Fermiamo i femminicidi” che ha organizzato un sit-in nella roccaforte laica di Kadıköy sulla sponda asiatica della città. Da quel giorno nelle principali città della Turchia, da Istanbul ad Ankara a Smirne, proseguono le manifestazioni contro la decisione di ritirare il paese dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta  contro la violenza nei confronti delle donne, conosciuta come Convenzione di Istanbul. Decisione questa che rientra nell’ambito delle politiche identitarie, conservatrici e laico-religiose. Le proteste delle donne erano iniziate già dallo scorso anno, quando si è cominciato a parlare dell’eventualità di un ritiro: il movimento delle donne ha immediatamente sfidato l’alleanza al potere e i gruppi religiosi fondamentalisti associati.

La priorità della Piattaforma “Noi fermeremo i femminicidi” è mantenere le donne in vita. A questo scopo fornisce assistenza legale alle donne che vogliono essere al sicuro dalla violenza e si unisce alla loro lotta per le loro vite. Richiama le autorità al dovere di attuare la legge n. 6284; organizza corsi di formazione per informare le donne dei loro diritti in base alla legge di protezione vigente; realizza attività di comunicazione per la stampa al fine di sensibilizzare la società e costruire l’opinione pubblica avvalendosi anche del sostegno di persone appartenenti al mondo dell’arte.

Anche la Polonia, dove la Convenzione di Istanbul è altrettanto temuta dalle correnti politiche più conservatrici e religiosamente ispirate, ha annunciato di volere recedere dalla Convenzione di Istanbul e ha avviato la relativa procedura.

Il testo della convenzione infatti non piace all’attuale governo polacco, guidato dall’estrema destra del partito Diritto e giustizia (PiS). Lo scorso 25 luglio, Zbigniew Ziobro, ministro della Giustizia, ha affermato che la Polonia — che aveva ratificato la Convenzione di Istanbul nel 2015 — avrebbe avviato la procedura di uscita dalla Convenzione medesima, considerata pericolosa per la presenza di elementi ideologici e, in particolare, per l’obbligo di insegnare le teorie di genere nelle scuole.

L’importanza della Convenzione di Istanbul: le 3 P

Così chiamata dal nome della città in cui furono raccolte le firme degli stati aderenti l’11 maggio 2011, la Convenzione di Istanbul è  un accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa ed entrato in vigore nel 2014.

La Convenzione di Istanbul è la prima serie di linee guida giuridicamente vincolanti che crea “un quadro giuridico e un approccio globale per combattere la violenza contro le donne”: definisce la violenza di genere, come qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato (art.3). Essa afferma inoltre che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.

La Convenzione riconosce  “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e (. . .) altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”;

“… che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”;

” … che le donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini”;

“[con] profonda preoccupazione che le donne e le ragazze sono spesso esposte a gravi forme di violenza, tra cui la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro. il matrimonio forzalo, i delitti commessi in nome del cosiddetto “onore” e le mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi”

“.,… che i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia”.

Nella Convenzione sono indicati quali atti devono essere perseguiti penalmente dai Paesi partecipanti. Tali reati comprendono la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale (compreso lo stupro), tutti gli atti non consensuali di natura sessuale con una persona, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, i delitti d’onore e le molestie sessuali

La sua struttura è basata su “tre P”: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli. A queste viene aggiunta una quarta “P”, un asse trasversale costituito dalle politiche integrate  per la costruzione di un sistema integrato di raccolta dati e attività di monitoraggio e valutazione allo scopo di agire efficacemente su un fenomeno caratterizzato da grande complessità e da molteplici determinanti.

Interviene specificamente nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela.

La Turchia fu il primo paese a ratificare la Convenzione il 12 marzo 2012 quando Erdogan era già Presidente, seguita da altri 33 paesi e nel 2017 anche l’Unione Europea.

In base alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica gli Stati aderenti devono predisporre “servizi specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione” della Convenzione assegnando finanziamenti adeguati e risorse umane ai servizi predisposti e garantendo una formazione adeguata a tutti i professionisti che si occupano delle vittime (magistrati, medici, funzionari di polizia).

Diversi Paesi che hanno  firmato la convenzione non l’hanno mai ratificata, il che significa che non è mai stata applicata. Tra questi paesi ci sono Armenia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria. Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Repubblica Moldova, Ucraina e Regno Unito. Altri si sono rifiutati di firmarla, come Russia e Azerbaigian.

La IV Conferenza mondiale delle donne di Pechino

La Convenzione di Istanbul si colloca in continuità con la Piattaforma d’Azione per l’emancipazione e il miglioramento della condizione delle donne in tutto il mondo approvata dalla Conferenza di Pechino (4-15 settembre 1995), il testo politico più rilevante e più consultato dalle donne di tutto il mondo. La Conferenza di Pechino è stata la quarta di una serie di conferenze mondiali sulle donne organizzate dalle Nazioni Unite, ed ha rappresentato la conclusione di un lungo processo preparatorio, internazionale e regionale.

E’ infatti a Pechino che i movimenti di tutto il mondo hanno affermato di “guardare il mondo con occhi di donna” e hanno proclamato che “i diritti delle donne sono diritti umani”. Le parole chiave utilizzate nella conferenza sono “punto di vista di genere”, “empowerment”, “mainstreaming”.

Alla Conferenza dei governi hanno partecipato 5.307 delegate e delegati ufficiali, e 3.824 rappresentanti delle ONG. Erano inoltre presenti 3.200 operatori dei media e 4.041 giornalisti provenienti da 124 paesi. Di questi, 841 erano cinesi, 1.468 provenivano da 18 paesi asiatici, 1.210 dall’Europa e dall’Australia, 268 dall’Africa, 134 dai paesi del Medio Oriente e 829 dagli Stati Uniti e dal Canada.

La Conferenza di Pechino ha anche stabilito obiettivi strategici per raggiungere la parità di genere in dodici aree critiche, per ciascuna delle quali vengono fornite un’analisi dei problemi e una lista degli obiettivi che governi, organizzazioni internazionali e società civile devono perseguire per realizzare le finalità della Conferenza. Le dodici aree critiche sono:

  1. Donne e povertà
  2. Istruzione e formazione
  3. Donne e salute
  4. Violenza contro le donne
  5. Donne e conflitti armati
  6. Donne e economia
  7. Donne e processi decisionali
  8. Meccanismi istituzionali per il progresso delle donne
  9. I diritti umani delle donne
  10. Donne e media
  11. Donne e ambiente
  12. Le bambine

L’Italia e la Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è stata sottoscritta dal nostro Paese il 27 settembre 2012.

L’anno successivo, il 27 giugno 2013, il Parlamento italiano ha adottato il disegno di legge recante l’autorizzazione alla “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”.

Al fine di realizzare tempestivamente alcune misure previste dalla Convenzione, è stato approvato il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”  contenente misure volte a rafforzare sia la tutela penale delle donne vittime di violenza sia a prevenirne il fenomeno. Allo scopo di definire una strategia complessiva di intervento, la normativa ha previsto, all’art. 5, l’adozione di un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere e il potenziamento delle strutture di soccorso e assistenza  alle vittime.

Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne

Alla scadenza del piano straordinario, nel luglio 2017, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha istituito nell’ambito dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza, un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di vari Ministeri istituzionalmente interessati alla tematica, della Conferenza delle Regioni, dell’Anci, delle Forze dell’Ordine, de1l’associazionismo femminile e delle organizzazioni sindacali, per avviare un dialogo partecipato finalizzato alla definizione delle linee strategiche e dei contenuti della proposta di un “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne” per il triennio 2017 – 2020. Benché molte delle azioni attuate siano ancora in fase di completamento, l’esperienza del Piano straordinario di cui al DL. 93/2013, scaduto nel mese di luglio 2017, consente di avviare una prima riflessione sugli aspetti positivi emersi dalla sua implementazione così come sulle lezioni apprese nel corso delle attività. Si ricordano, in particolare, la costituzione degli organi di governance nazionale che hanno consentito un dialogo proficuo tra gli attori del Piano, dando sostanza ai principi di collaborazione e sussidiarietà, sia orizzontale che verticale, costituzionalmente garantiti, come anche l’efficace utilizzo dì tutte le risorse stanziate, per le quali è stata indicata la destinazione in modo specifico.

L’orientamento strategico del Piano è imperniato su una visione non esclusivamente di assistenza alle vittime, ma di sostegno e orientamento delle loro capacità e potenzialità, nella prospettiva di restituire loro piena dignità ed autonomia sotto ogni profilo, creando quindi le condizioni affinché possano vivere una vita libera, improntata all’autodeterminazione e al pieno godimento dei diritti umani costituzionalmente garantiti.

Il Piano dedica poi un’attenzione specifica alle donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo tenendo conto della loro condizione migratoria, che le espone a discriminazioni multiple e di conseguenza a maggiori rischi di disagio e marginalità nel paese di accoglienza.

Il Piano è articolato secondo tre assi principali, le 3 P della Convenzione di Istanbul, e un asse di servizio, la quarta P.

Il primo asse – denominato Prevenzione -intende aggredire le radici della cultura della violenza, le sue cause e le sue conseguenze mettendo in campo strategie politiche volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza e all’ottenimento delle pari opportunità in ogni ambito della vita pubblica come privata, per combattere discriminazioni, stereotipi legati ai ruoli di genere e al sessismo, e, in generale,  la violenza maschile contro le donne.

Il secondo Asse, denominato Protezione e sostegno. è finalizzato alla tutela delle vittime nel percorso di uscita dalla violenza.

Il terzo Asse – Perseguire e punire – è finalizzato a punire i violenti secondo le norme della legislazione italiana e a individuarli prima possibile per garantire in via privilegiata i diritti delle vittime donne e minori durante le fasi dei procedimenti giudiziari.

Il quarto Asse Assistenza e promozione, è composto da interventi trasversali al Piano nel suo complesso, ed è finalizzato a sostenerne l’attuazione e l’efficacia e a consentirne il monitoraggio e la valutazione dei risultati ottenuti.

1522: linea telefonica nazionale gratuita h 24 antiviolenza e stalking

Nell’ambito dell’asse Protezione e sostegno è stata ulteriormente potenziata la linea telefonica 1522, istituita nel 2006. Questo servizio pubblico è attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno ed è accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile.

Le operatrici telefoniche dedicate al servizio forniscono una prima risposta ai bisogni delle vittime di violenza di genere e stalking, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale ed inseriti nella mappatura ufficiale della Presidenza del Consiglio – Dipartimento Pari Opportunità.

Il 1522 attraverso il supporto alle vittime sostiene l’emersione della domanda di aiuto, con assoluta garanzia di anonimato e smista le richieste di aiuto ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio qualificati, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia.

I casi di violenza che rivestono carattere di emergenza vengono accolti con una specifica procedura tecnico-operativa condivisa con le Forze dell’Ordine.

L’accoglienza è disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo.

I Centri antiviolenza e le Case rifugio

L’Intesa Stato, Regioni e Province Autonome siglata in Italia nel 2014 stabilisce che i Centri antiviolenza sono “strutture in cui sono accolte – a titolo gratuito – le donne di tutte le età – e i loro figli minorenni -vittime di violenza, indipendentemente dal luogo di residenza”.

Sono presidi socio-assistenziali e culturali gestiti da donne, che offrono accoglienza, consulenza, ascolto e sostegno alle donne, anche con figli/e, minacciate o che hanno subito violenza. Hanno come finalità primaria il contrasto alla violenza maschile sulle donne, ma anche la prevenzione promuovendo la diffusione di una cultura innovativa fondata sul riconoscimento e sulla denuncia di tale realtà. La logica sottesa agli interventi messi in atto vuole superare la mera assistenza, che lascia immodificati i problemi, che rispuntano appena l’aiuto cessa, in favore di un’azione tesa a restituire nelle mani della donna accolta la sua vita, ma arricchita da un’esperienza che l’ha condotta verso la conquista di una autonomia, indispensabile per proiettarsi verso un futuro scelto e non imposto con il sopruso.  Una donna libera di scegliere, forte nella sua identità, capace di una analisi critica delle relazioni, consapevole delle sue competenze è preziosa per l’intera società.

Così la normativa descrive le Case di Rifugio: “strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di proteggere le donne e i loro figli e di salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica”.

I Centri antiviolenza e le Case rifugio costituiscono il fulcro della rete territoriale della presa in carico delle donne vittime di violenza. Si tratta di servizi specializzati che lavorano sulla base di una metodologia dell’accoglienza basata su un approccio di genere e sui principi della Convenzione di Istanbul.

I numeri della violenza contro le donne in Italia

Dai dati elaborati dall’Istat per il 2018 emerge che 49394 donne si sono rivolte a un CaV – Centro antiviolenza – con un incremento del 13,6% rispetto all’anno precedente. Dato da un lato confortante perché evidenzia l’efficacia dei servizi messi in campo per contrastare la violenza sulle donne, dall’altro preoccupante non solo perché rivela che il fenomeno della violenza nei confronti delle donne è una questione tuttora rilevante, ma anche per il fatto che le donne che si rivolgono a un CaV non sono tutte le donne che hanno subito violenza, il numero è purtroppo più grande. La violenza contro le donne è infatti di difficile misurazione perché in larga parte si consuma all’interno della famiglia e quindi più difficili da denunciare, perché si tratta di situazioni in cui  la donna si sente sola a dover affrontare un dramma che, se portato allo scoperto, sconvolgerebbe gli equilibri di vita di altre persone care.

Interessante comunque notare che il 60,84% delle donne che si sono rivolte a un CaV nel 2018 ha intrapreso un percorso per uscire dalla situazione di violenza e di queste il 28% sono donne straniere.

Nel periodo della pandemia l’imposizione della quarantena e di misure per contrastare il contagio ha avuto l’effetto di aumentare i casi di violenza domestica. Il coronavirus non è la causa che ha dato vita alla violenza in quanto essa già sussisteva, ciò che è cambiato con la Covid-19 è la diminuzione dei momenti di “libertà” legati alle esigenze lavorative, in quanto moltissime donne lavorano in smart working, e ai vari altri impegni quotidiani. Il fenomeno non riguarda solo il nostro paese ma tutto il mondo come dimostrano i dati forniti dall’associazione delle Nazioni Unite UnWomen.

Tuttavia la lotta contro la violenza non si è fermata in questo periodo: il numero 1522 antiviolenza e stalking ha garantito continuità e i centri antiviolenza e le case rifugio sono rimasti aperti nel rispetto delle norme di sicurezza.

La marmellata delle regine: un esempio di affrancamento dalla violenza

La Reggia di Caserta, in collaborazione con la Cooperativa sociale E.V.A. impegnata da decenni in servizi di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne,  ha avviato un progetto sperimentale di economia circolare e solidale, che integra gli obiettivi di ecosostenibilità e “no waste” dell’Agenda 2030 con la solidarietà sociale e la condivisione con la comunità.

La partnership tra l’Istituto museale della Reggia di Caserta e la cooperativa E.V.A. ha per oggetto la raccolta degli agrumi del Parco Reale, del Giardino Inglese e della Flora, destinati finora alla macerazione naturale o allo smaltimento, da utilizzare per la preparazione e commercializzazione della “marmellata delle Regine” così chiamata in omaggio alle sovrane protagoniste della storia della Reggia di Caserta.

Il progetto coinvolge un gruppo di donne che hanno affrontato il difficile percorso di affrancamento dalla violenza.

I frutti sono stati raccolti all’interno del Complesso monumentale nei mesi di gennaio e febbraio e poi lavorati nel laboratorio della Onlus. Per ora le marmellate possono essere acquistate  solo online e quando la Reggia riaprirà le sue porte al pubblico, saranno in vendita anche all’interno del Museo. I ricavi saranno destinati interamente ai progetti di tutela di donne vittime di violenza.

Possibile recuperare il passo indietro?

Quello compiuto dal governo turco è uno sconcertante passo indietro, che priverà le donne turche e l’intera società turca di uno strumento essenziale per combattere la violenza di genere.

In Turchia la società civile e le associazioni femminili si sono mobilitate per contrastare il decreto del Presidente turco che entrerà in vigore il 1 luglio prossimo.

Tramite la piattaforma “Noi fermeremo i femminicidi” le donne chiedono che vengano accolte cinque loro richieste:

  1. la condanna della violenza contro le donne da parte del Presidente, del primo ministro e di tutti i partiti politici;
  2. l’applicazione della legge  di tutela n.6284;
  3. l’aggiunta di una clausola aggiuntiva al Codice Penale turco per introdurre “l’ergastolo aggravato”
  4. l’istituzione di un ministero per le donne;
  5. una nuova costituzione che dia priorità all’uguaglianza di genere e di orientamento sessuale.

Anche la mobilitazione di diversi organismi da varie parti del mondo a sostegno delle donne turche forse potrà produrre qualche effetto.

UN Women – United Nations Women   è un ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, che opera per favorire il processo di crescita e sviluppo della condizione delle donne e della loro partecipazione pubblica. In un suo comunicato ufficiale UN Women chiede al governo turco un ripensamento e un nuovo ingresso nella convenzione, considerato che con la pandemia da Covid-19 la violenza contro donne, adolescenti e bambine ha raggiunto livelli insostenibili, che richiedono solidarietà e coordinamento, anche e soprattutto sul piano internazionale.

Anche dall’Italia si alza un appello contro la decisione della Turchia di recedere dalla Convenzione di Istanbul rivolto alle istituzioni nazionali ed europee da parte dei docenti e ricercatrici/tori di università italiane facenti parte della rete accademica UN.I.RE. – UNiversità in REte contro la violenza di genere – impegnata da anni per l’attuazione della Convenzione di Istanbul affinché

  • “si attivino tutte le iniziative utili a contrastare le decisioni dei paesi che vogliono indebolire la Convenzione di Istanbul, se necessario anche con azioni forti, come la possibile esclusione dalla distribuzione di fondi e/o sovvenzionamenti o con sanzioni;
  • si solleciti la ratifica della Convenzione di Istanbul presso i Paesi europei che sinora l’hanno soltanto firmata;
  • si proceda con l’approvazione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea;
  • si adottino tutti i provvedimenti necessari per attuare la Convenzione di Istanbul in ogni sua parte, in particolare nelle attività di prevenzione, educazione, formazione e sensibilizzazione per costruire una cultura della parità di genere”.

Per approfondire

Video protesta a Istanbul

Volantino del CoE – Council of Europe – sulla Convenzione di Istanbul

Testo della Convenzione di Istanbul

Firma della Convenzione da parte dell’Unione Europea del 13 giugno 2017

Glossario predisposto dall’EIGE – European Institute for Gender Equality

Conferenza di Pechino

Piattaforma d’azione approvata nella Conferenza di Pechino (12 aree critiche)

Le 12 aree critiche con infografiche (in lingua inglese)

Il piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020

Definizioni delle tipologie di violenza

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