
Mimmo Lucano, Il Fuorilegge, Feltrinelli, 2020
Recensione di Aldo Silvani
Si è molto parlato del progetto di accoglienza di migranti Curdi e di altre nazionalità a Riace, voluto e realizzato dal sindaco di allora, Mimmo Lucano assieme con i migranti stessi e con gli abitanti di Riace. Ora la pubblicazione del libro, (scritto in collaborazione con Marco Rizzo), chiarisce meglio la complessità e il profondo discorso culturale che stanno alla base di quel progetto. Quello che si era iniziato a realizzare è stato brutalmente interrotto da una sentenza che riconosceva il sindaco colpevole del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di altre irregolarità, facendo di lui un fuorilegge. Tale provvedimento della magistratura aveva evidentemente, in un momento politico molto rischioso per la nostra democrazia (era ministro degli Interni Salvini), altre finalità. Criminalizzare l’immigrazione e chi voleva metterne in evidenza le opportunità era solo un pretesto per portare avanti posizioni politiche antidemocratiche e razziste. Infatti il sistema di accoglienza basato sulla realizzazione di progetti personalizzati di integrazione dei migranti affidati agli SPRAR – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – e ai Cas – Centri di Accoglienza Straordinaria – gestiti dai Comuni è stato in breve tempo profondamente modificato proprio dai Decreti Sicurezza di Salvini. Le accuse rivolte al sindaco, anche perché aveva osato rinnovare a una ragazza nigeriana, Bechy Mosesla, la carta d’identità che aveva smarrito durante il viaggio in pullman e che le serviva per rinnovare il permesso di soggiorno, e a due persone che, secondo la Procura, non ne avevano diritto, una mamma eritrea e il suo bambino di pochi mesi, sono state poi progressivamente smontate e l’esperienza di Riace ha riacquistato tutto il suo valore.
Il libro di Lucano ribadisce il valore etico e umano del progetto ed è di estremo interesse; restituisce tutta la complessità culturale, le motivazioni antropologiche, oltre che la situazione economica, politica e le guerre che stanno alla base delle migrazioni. Il progetto di accoglienza nel piccolo paese calabrese, al di là di quello che si è potuto realizzare nel tempo, rivela la sua natura profetica anche perché suggerisce una possibile modalità di ripopolamento dei borghi dell’Appennino desertificati appunto da una diversa migrazione.
C’è un filo sotto traccia che dà senso alla presenza dei migranti a Riace che merita, a mio giudizio di essere evidenziato, insieme alle altre linee conduttrici del lavoro svolto con tanto impegno nel paese calabrese. L’arrivo dei migranti non è un problema che riguarda solo quelli che arrivano e perché arrivano, ma riguarda chi anche chi li accoglie. Lucano non a caso ricorda, in un passato relativamente recente, l’emigrazione di compaesani e familiari in Argentina, i matrimoni combinati a distanza, la partenza dolorosa di donne che non sarebbero mai più tornate. Veniamo tutti dall’incontro di culture e civiltà diverse dovuto alle migrazioni; non è dunque importante capire solo “come siamo” e “come saremo”, ma soprattutto “come eravamo” e “da dove veniamo”.
Il discorso antropologico ci permette di capire il senso di essere ora qui e da cosa è costituita la nostra specificità culturale. Ecco allora l’importanza dell’esperienza Riace costruita sull’incontro tra chi arriva e chi vive qui. Ed ecco le migrazioni come elemento costante e imprescindibile del nostro modo di stare su questa terra. Questo argomento viene affrontato nel libro di Lucano. Non è solo importante quello che Lucano ha fatto per i Curdi o per i Palestinesi o per le altre etnie ospitate a Riace. E’ soprattutto importante il legame, la condivisione, la scoperta di una possibile identità tra i vecchi e i nuovi abitanti di Riace, la possibile riscoperta di un filo ininterrotto fra popoli e civiltà migranti che ha accomunato i popoli di tutta la terra, soprattutto di quelli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, fin dalla preistoria: un processo spesso faticoso, traumatico che ha dato origine a civiltà e culture che sono anche le nostre e ha consentito la riscoperta di tracce di continuità nel modo di vivere assieme, migranti e abitanti di Riace, nel condividere il lavoro artigianale e la vita di tutti i giorni.
Riace, paese che come molti borghi dell’Appennino si era andato spopolando negli anni, aveva ricominciato ad essere riabitata e l’abbandono del paese da parte dei Riacesi interrotto. E il processo sarebbe forse continuato se un provvedimento iniquo non l’avesse interrotto. Il fuorilegge diventa promotore e centro di gravità di culture, di religioni che riescono a riconoscersi, a convivere pacificamente pur nelle differenze in un dinamico divenire, segnato da un reciproco scambio, che viene da lontano. Credo che le difficoltà e le differenze che pur ci saranno state, create da secoli di storia, si potesse tentare di ricomporle e farle convivere democraticamente nel vicendevole riconoscimento. I Curdi che sbarcano a Riace, così come gli Africani che arrivano a Lampedusa, non sono forse molto diversi da Ulisse e dai suoi uomini che da Troia arrivano sulle coste italiane dopo avere vissuto esperienze che li hanno profondamente cambiati. Così come i due santi medici migranti, Cosma e Damiano, protettori di Riace, giungono dall’est e qui mettono radici; le stesse religioni monoteiste che provengono dal Medio Oriente si espandono in tutti i paesi mediterranei e poi nel mondo intero; come narra Virgilio, così era anche accaduto ad Enea che, in fuga da Troia, porta sulle sue spalle il padre Anchise, il suo passato, e alla fine sbarca sulle coste laziali. L’episodio ha un profondo significato simbolico: generazioni che emigrano e si modificano mantenendo una sottile continuità pur nella diversità, in un continuo processo di meticciamento. Enea darà origine alla civiltà romana incontrando le popolazioni etrusche e latine residenti nell’area laziale. Le migrazioni sono dunque un elemento costitutivo e determinante il nostro modo di essere. Non solo migrazioni dal sud al nord ma anche dal nord al sud. Come i Longobardi e i Vichinghi che dal nord dell’Europa arrivano fino al sud dell’Italia. Ed ora migrazioni dall’est e dall’estremo oriente verso l’Europa e dal Sud America al Nord America: i popoli si mescolano, si modificano, rinnovandosi, ma custodendo elementi di specificità in continuità con le origini. Popoli che emigrano, spinti dalla necessità di sopravvivere a guerre, carestie, a regimi oppressivi, ma anche solo dal desiderio di nuove conoscenze e di sperimentare nuove opportunità. A nulla servono e sono serviti i tentativi di arrestare questo flusso di popoli.
Questo, a mio parere, ci dice il sobrio linguaggio di Mimmo Lucano e questo è forse il senso profondo del suo lavoro a Riace. Il coinvolgimento dei “cittadini migranti” nella progettazione e nella realizzazione dei programmi di integrazione e la ricerca di elementi comuni di continuità, pur nei disagi e nei conflitti che inevitabilmente si saranno creati, sono stati in grado di dare stabilità ai nuovi abitanti. Non solo, è stato frenato lo spopolamento di questo piccolo borgo, cosa che non sta avvenendo nei nostri splendidi paesi dell’Appennino. E’ questo uno degli aspetti più interessanti e più importanti del lavoro di Mimmo Lucano a Riace. Senza l’approfondimento di queste tematiche la pur lodevole decisione di creare piccole imprese artigiane e laboratori avrebbe avuto meno interesse. Si cominciavano a vedere i risultati, ad esempio le case concesse in uso ai migranti e restaurate con fondi pubblici e privati, dai proprietari emigrati; l’utilizzo di risorse locali, come gli asini per la raccolta differenziata dei rifiuti o il tentativo di utilizzare sorgenti idriche abbandonate per distribuire agli abitanti gratuitamente l’acqua, considerata bene comune ed essenziale non monetizzabile. Iniziative che si sono scontrate con la vischiosità burocratica o con l’opposizione di enti pubblici o, e questo è ancora peggio, con la politica salviniana.
Il fuorilegge è riuscito a porre alla base del suo lavoro l’incontro e l’ascolto reciproco dei riacesi “vecchi e nuovi” per raggiungere risultati condivisi, inserendo questa esperienza in un contesto privo di rigidità ideologiche, dove gli eventuali conflitti che presumo vi siano stati potessero essere ricomposti con la discussione, illuminata dal proposito di cercare e trovare una soluzione. E questo è avvenuto senza chiudersi dentro le mura di quel piccolo territorio. Lucano infatti ha sempre cercato alleanze e aperto il suo paese e il suo modo di operare al confronto critico. Ha saputo costruire una rete di rapporti con persone, comuni vicini, enti e associazioni in Italia e all’estero, facendo diventare Riace un caso da studiare e imitare. Nel suo libro Lucano cita chi lo ha sostenuto: personalità di varia provenienza, sinceri democratici, preti di una Chiesa progressista, gente comune. Purtroppo si è scontrato con una politica che lo ha utilizzato cinicamente per altri fini, volendo che fosse additato come fuorilegge, tentando di nascondere le conclusioni positive della commissione prefettizia incaricata di valutare l’esperienza; il ministro degli Interni di allora, Salvini, indicava i migranti come il principale pericolo per la nostra sicurezza, stimolando le tendenze più violente e irrazionali della gente, portando alle estreme conseguenze il decreto del suo predecessore, Minniti. Il risultato di questa politica criminale è l’aver contribuito alle migliaia di morti nel Mediterraneo, simboleggiato nel primo capitolo del libro dalla morte di Becky Moses in un incendio nella baraccopoli di San Ferdinando, tra Gioia Tauro e Rosarno, dove la ragazza aveva dovuto riparare dopo la fine del suo periodo di permanenza a Riace per la mancata erogazione dei fondi per l Cas. Interrompeva così tragicamente un percorso di integrazione già iniziato con buoni risultati.
- La recensione del Dr. Silvani è stata notata anche dall’agenzia Walkabout Literary Agency di Roma che l’ha menzionata nella sua pagina Facebook.